mercoledì 15 novembre 2017

Magda Szabò, “La ballata di Iza” ed. 2007

                                         Voci da mondi diversi. Europa dell'Est
       la Storia nel romanzo
       il libro ritrovato

Magda Szabò, “La ballata di Iza”
Ed. Einaudi, trad. Bruno Ventavoli, pagg. 304, Euro 18,00
Titolo originale:  Pilátus

In seguito, quando avrebbe cercato di rievocare il viso di Iza la memoria gli avrebbe riportato spesso quel giovane viso senza tempo, quello sguardo da giovane soldato, quell’Iza con l’aria protettrice che accompagnava Vince con i guanti ciondolanti e le labbra troppo pallide.

    C’è una ballata che Iza Szőcs non sopporta e che piace invece a suo padre e al suo ex marito, perché la cantavano nel collegio dove entrambi avevano studiato in tempi diversi. Parla di una vergine che giace su un catafalco, “il viso e il petto pallidi/ come neve sulle rocce”: a Iza non piace perché non vuole commuoversi neppure per i versi di una canzone- e forse non le piace perché, in qualche modo, vede se stessa nella figura della vergine fredda e senza vita. Quando è diventata di pietra Iza, uno dei tre personaggi principali de “La ballata di Iza” della scrittrice ungherese Magda Szabò? Forse quando era solo una bambina e aveva dovuto farsi una corazza per avanzare a testa alta negli anni in cui suo padre, il giudice Vince, era stato destituito per non aver ossequiato il regime fascista. Come sopportare, altrimenti, la miseria, l’emarginazione, il bruciore di vedere il suo nome- l’unico- nella colonna dei non ammessi all’università? Poi qualcuno aveva interceduto per lei, Iza si era laureata in medicina, nel frattempo suo padre era stato riabilitato, Iza si era sposata con Antal.

    Sono i quattro elementi che assicurano l’equilibrio del cosmo- terra, fuoco, aria, acqua- che danno il titolo alle quattro parti in cui è diviso il romanzo della Szabò. E nella prima parte c’è il ritorno alla terra dell’ormai anziano Vince Szabò che muore in ospedale, lasciando inspiegabilmente in eredità all’infermiera il quadro di una fonte che era sempre stato appeso sopra il suo letto e che nessuno aveva mai osservato. Della vita di Vince, di come fosse rimasto orfano dopo il crollo della diga, avesse studiato grazie alla carità altrui e fosse diventato un magistrato integerrimo (bella la sottile ironia del titolo originale, “Pilátus”), sappiamo attraverso i ricordi della moglie Etelka, chiamata per lo più “la vecchia” in tutto il romanzo. Vince ed Etelka, Iza e Antal- questo è quello che è straordinario nello stile narrativo di Magda Szabò: ogni personaggio è unico, ognuno giganteggia, ognuno potrebbe essere il protagonista assoluto in un racconto in terza persona che però riesce stranamente a creare a tratti l’effetto di un monologo interiore. Quello di Etelka, che perde il compagno di una vita, l’uomo che ha rifiutato di condannare degli scioperanti ed è vissuto senza stipendio per ventitre anni, fino alla riabilitazione nel ‘46, e che si ritrova sola e accetta di andare ad abitare con la figlia a Pest. Sarà come passare attraverso il ‘fuoco’- si sciolgono tutte le illusioni che la vecchia si faceva, resta di ghiaccio il cuore di Iza. Iza è una figlia perfetta, colma di attenzioni, Iza ha predisposto tutto, Iza ha deciso tutto. Quello che la madre può tenere e deve buttare, quello che può fare e deve evitare, dove può stare e dove non deve immischiarsi. Etelka e Iza sono il vecchio e il nuovo, la tradizione e la modernità, il passato e il presente che non si accordano. Forse è proprio perché Etelka rappresenta quel passato che è meglio dimenticare che Iza è così dura con lei- “povera infelice”, dice alla fine l’infermiera che diventerà la nuova moglie di Antal, “crede che il passato dei vecchi sia ostile, non si è accorta che è invece la misura per spiegare e capire il presente”. E, lentamente, mentre in “Acqua” leggiamo del passato dell’ex marito Antal che ha tanto in comune con quello del giudice Vince, iniziamo a capire meglio che cosa allontani le persone da Iza, perché anche sua madre la lascia per tornare al paese, alla vecchia casa, per seguire nell’ ‘aria’ la chiamata del marito.

     Avevamo già ammirato nel romanzo “La porta”, pubblicato lo scorso anno da Einaudi, la qualità tersa della scrittura di Magda Szabò. E avevamo pensato che lo straordinario acume con cui era raffigurata l’anziana Emerenc fosse in parte dovuto all’empatia di un’età condivisa (“La porta” è del 1987 e la scrittrice è nata nel 1917). Dobbiamo ricrederci perché “La ballata di Iza” è del 1963, eppure il dolore, le speranze, i tremori, il senso di inutilità e di vuoto della vecchia Etelka sono rappresentati con la stessa sensibilità con cui una relativamente giovane Szabò tratta gli altri personaggi, riuscendo nel contempo a tracciare un quadro acquerellato della situazione politica e sociale in Ungheria.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it


                                                                                             

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