Diaspora ebraica
premio Nobel
FRESCO DI LETTURA
Isaac
B. Singer, “Keyla la Rossa”
Ed. Adelphi, Trad. M. Morpurgo,
pagg. 280, Euro 17,00
La pubblicazione di “Keyla la rossa” di Isaac B. Singer (premio Nobel
1978) da parte della casa editrice Adelphi nell’ottima traduzione di Marina
Morpurgo è una bellissima sorpresa, è come aver trovato un tesoro. Il romanzo,
pubblicato a puntate in yiddish tra il 1976 e il 1977, ha avuto, finora,
soltanto una traduzione in ebraico nel 2011, senza contare quella in inglese
fatta dal nipote nel 1978 che era, però, solo una prima stesura, da rivedere e
correggere.
Come ci sembra lontano, oggi, quando ci
siamo inoltrati da quasi vent’anni nel secondo millennio, il mondo di Singer,
quella yiddishland che la seconda guerra mondiale ha spazzato via! Eppure, per
una strana magia, che è poi la bravura di Singer, non facciamo fatica ad
immaginarlo, a calarci dentro di esso, ad abitare anche noi in via Krochmalna a
Varsavia, la stessa strada in cui aveva abitato lo scrittore prima di emigrare
negli Stati uniti negli anni ‘30.
Via Krochmalna non è una strada da ricchi.
Ladri, beoni, perdigiorno e prostitute abitano in via Krochmalna. Ebrei
osservanti con le peot a lato del
viso e palandrane nere, donne che nascondono i capelli con la parrucca e
sgualdrine imbellettate e abiti corti. Come Keyla dai riccioli di fuoco,
ventinove anni, bellissima, che ha finito per sposare Yarme. Lei una
prostituta, lui un avanzo di galera (che però sa leggere). Lei con un passato
di innumerevoli uomini, lui che ne è geloso. Si amano, di un amore un po’
tempestoso, ma pur sempre amore. Finché ricompare sulla scena un personaggio
mefistofelico che accampa dei diritti non solo sul corpo di Keyla ma anche su
quello di Yarme che ha conosciuto in prigione. E vuole convincere entrambi a
partire con lui per l’America, o l’Argentina, o chissà, il Brasile. Propone un
ménage a tre, intende portare oltremare delle ragazze giovani, Keyla non avrà
più bisogno di prostituirsi, lo faranno le altre per lei, lei sarà la madama.
Yarme cede alle pressioni di Max, Keyla si ritrae inorridita, cerca aiuto da un
rabbino, ne conosce il figlio Bunem. Che cosa può provare il giovanissimo
Bunem, ribelle, critico di quella stretta osservanza delle norme religiose,
aspirante pittore, davanti ad una donna di fuoco come Keyla?
Sono gli anni che precedono la rivoluzione
del 1917, per sfuggire all’Ochrana (la polizia russa) che ricerca Bunem per la
sua amicizia con una giovane anarchica, non c’è altra via che emigrare. Dopo
averlo tanto desiderato, corrisponderà il sogno americano a quanto Bunem e
Keyla si aspettano?
“Keyla la rossa” è un libro importante
nella carriera narrativa di Singer. Perché è un libro diverso, un libro che si
distacca da un mondo e apre lo sguardo su un altro. Non è solo il personaggio
di Keyla ad essere affascinante nel modello che propone- sensuale e generosa
con il suo corpo, passionale senza restrizioni, consapevole di essere
peccatrice e umile proprio per quello e ugualmente in cerca di Dio. Lo è anche
Bunem, seppure in modo differente. Bunem è tormentato, forse come lo era Isaac
Singer. Stretto fra tradizione e modernità. E’ inconcepibile che proprio lui,
figlio di un rabbino, contesti la religione del suo popolo. Bunem si rifiuta di
credere in un Dio che esaltano come buono, un Dio che si preoccupa per gli
uomini: come è possibile che, allora, questo Dio permetta i pogrom o la miseria
e la fame? Per un Isaac Singer che avrebbe vissuto, da lontano, la tragedia
dell’Olocausto, la domanda è- come ha potuto Dio permettere le camere a gas e i
campi di sterminio?
Anche la tematica di fondo del romanzo, la
grande idea per arricchirsi di Max e Yarme, una tratta di bianche ebree per
aprire dei bordelli in un paese dell’America Latina, è ‘rivoluzionaria’, nel
senso che capovolge del tutto l’immagine dell’ebreo pio che teme di peccare
anche solo guardando una donna.
E’ per questo che il libro, con
il suo finale aperto, è molto umano, perché gli ebrei di “Keyla la Rossa” sono
come tutti gli uomini, senza alcuna certezza, sono uomini che peccano e si domandano
se saranno puniti per quello, amano e si lasciano andare alla passione, si
allontanano dalla loro yiddishland per poi rimpiangerla sempre in quell’altro
mondo dell’esilio in cui non si riconoscono.
Nessun commento:
Posta un commento