Voci da mondi diversi. Iran
storia di famiglia
Zoya Pirzad, “Spengo io le luci”
Ed. Brioschi, trad. A. Vanzan, pagg.
364, Euro 20,00
Abadan, cittadina sul confine tra Iran e Iraq, sede di
un’importantissima raffineria di petrolio che fu distrutta nei primi anni ‘80
durante la guerra con l’Iraq e poi ricostruita. Fa sempre caldo, ad Abadan,
grazie alla sua posizione sul golfo Persico, contrariamente al resto dell’Iran.
Il tempo della storia del romanzo di Zoya Pirzad non è definito se non da
accenni che ci fanno capire che è prima della rivoluzione, che ci sono fermenti
sociali e insoddisfazione per le disuguaglianze del regime dello Scià (mai
menzionato). Le donne non hanno il capo coperto, non portano l’abaya, indossano
abiti corti e senza maniche- oggigiorno è un sogno del passato. Senza tempo
sono pure le vicende della famiglia, raccontate in prima persona da Claris- una
donna giovane che racconta una vita quotidiana fatta di cure ai figli e al
marito, di colazioni e merende, di cene per ospiti che si autoinvitano, di
nuovi vicini di casa. Potrebbe essere una trama come tante, ma non lo è. Ci
irretisce subito e, mentre Claris termina la fiaba serale alle figlie gemelle
con il refrain, e dal cielo caddero tre
mele: una per chi ha visto, una per chi ha raccontato, una per chi ha ascoltato,
ricordiamo di aver letto le stesse parole nel bel libro della scrittrice armena
Narine Abgarjan- Claris e Artush (ingegnere impiegato nella raffineria
petrolifera) sono armeni, lo sono tutti i loro amici, ce lo rivelano i cognomi
terminanti in ian, le usanze e i cibi
(come il pane lavash), una piccola
comunità che parla armeno ed è legata con un filo sottile alla madrepatria.
chiesa armena di Abadan |
Claris
e Artush sono sposati da diciassette anni, hanno tre figli, un maschio
adolescente e le bambine gemelle. La madre e la sorella di Claris fanno parte
della famiglia, sono sempre presenti. Si scherza sulla golosità di Alis,
sorella di Claris, sul suo gettare un occhio su ogni uomo libero da poter
sposare. Sembra quasi di leggere Jane Austen in versione armeno-iraniana. Il
nuovo vicino di casa non si chiama Darcy ma Emile Simonian. È vedovo, ha una
madre autoritaria e altera, una figlia che diventa amica delle gemelle e che si
rivela cattiva- proprio cattiva, spingendo amici ed amiche a compiere azioni
riprovevoli. Ma Emile è affascinante, è sensibile e garbato, pieno di
attenzioni, il contrario di Artush. È lo stereotipo del possibile amante vs
marito? Poco importa. Claris non è la prima moglie un poco frustrata ( e non
sarà l’ultima) a sentirsi attratta da un altro.
La penna di Zoya Pirzad scorre leggera, il tono è vivace, la voce di
Claris è autoironica, amiamo sentirla parlare di sé sdoppiandosi e facendosi da
sola censura e autocritica, attenta alle necessità della famiglia, preoccupata
dall’amore adolescenziale del figlio, dubbiosa e poi contenta per la sorella
quando un improbabile pretendente olandese compare sulla scena, gelosa
irrazionalmente (e lo riconosce) della bella bionda divorziata che è arrivata
da Teheran.
moschea di Abadan |
L’apice e il punto di svolta del
romanzo è un avvenimento insolito che acquista un significato metaforico:
un’invasione di cavallette che lasciano gli alberi spogli e coprono il terreno
di un tappeto scuro di piccoli cadaveri. E Claris non osa dire a nessuno che
non si è spaventata perché non era sola in casa. MA. Mors tua vita mea. Qualcosa finisce, qualcosa incomincia. La paura
e lo sfacelo causati dalle cavallette sono la ricchezza dei poveracci che
vengono a raccoglierle con grossi sacchi: le venderanno, le cavallette arrosto
sono un cibo prelibato. E la fine del romanzo sarà fonte di lacrime e di
sospiri di sollievo.
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