Voci da mondi diversi. Area germanica
copy R. Eberhard |
Avevo incontrato Benedict Wells
quando era venuto in Italia per la pubblicazione de “La fine della solitudine”.
Questa volta, però, non sono riuscita ad incontrarlo e, tuttavia, desideravo
fargli delle domande sul suo romanzo giovanile (si fa per dire, Benedict Wells
è tuttora giovanissimo). Ed ecco l’intervista per posta elettronica.
Questo è un romanzo molto differente da “La fine della solitudine” ma, in
qualche maniera e in modo diverso, Lei anticipa alcuni dei temi di quel libro,
come se la assillassero. Segue i suoi personaggi nella loro evoluzione verso la
maturità e “L’ultima estate” è un doppio romanzo di formazione: come mai Robert
Beck, 37 anni, non ha ancora trovato la sua strada nella vita? Ha tutto a che
fare con i suoi genitori? Non è questo un modo per non accettare la sua
responsabilità? Ed è questo che Rauli gli insegna, capovolgendo l’ordine naturale
e diventando l’insegnante del suo insegnante? Tante domande in una, lo so…
A proposito, è strano che entrambi i suoi titolo inizino con una parola
che significa che qualcosa è finito- mi chiedo che cosa significhi…
È una coincidenza, gli altri miei libri hanno titoli molto
diversi. Ma è per domande così che spesso imparo qualcosa sul mio lavoro.
Quando ho scritto “L’ultima estate”, ero molto giovane, avevo 21 anni. Non
avevo idea di quali fossero le mie tematiche, scrivevo dall’interno. Mi sono
reso conto dopo- anche grazie alla domanda di un giornalista- che sembra che
‘la solitudine’ sia il mio argomento: lo si trova in ogni libro e naturalmente
anche ne “L’ultima estate”.
Il rapporto fra Robert e Rauli è molto interessante:
Rauli è una sorta di doppio di Robert?
Direi di no. Piuttosto mi ha sempre fatto pensare al giovane Bob Dylan,
un giovane genio vulnerabile che racconta storie di continuo, alcune vere e
alcune no. Rauli non è affatto cinico come Beck, è puro ed aperto, sa come
esprimere i suoi sentimenti. Ecco perché rappresenta una sfida per Beck che
all’inizio è molto riservato.
E Rauli è una prova di quello che sosteneva nel suo altro romanzo- che il
vero talento è la forza di volontà, come diceva Jules ne “La fine della
solitudine”?
Ho scritto di Rauli molti anni prima di scrivere
“La fine della solitudine”, ma sono d’accordo. Sì, alla fine tutto il talento
va sprecato perché semplicemente Rauli non lo vuole abbastanza.
Devo confessare che non mi è piaciuto il personaggio di Lara.
O ,forse, è la controparte giusta per il personaggio di Robert: il loro
rapporto è un incontro di due solitudini?
Posso capire benissimo il suo punto di vista. Mi piacciono molto i
personaggi femminili forti come in “La fine della solitudine”. Ma, ad essere
onesti, “L’ultima estate” è soprattutto un romanzo su tre uomini molto diversi
che si ritrovano a fare un viaggio delirante alla volta di Istanbul, perciò
Lara non ha abbastanza tempo sul palcoscenico per avere un impatto più
profondo. Ma è molto importante per Beck. Alla fine lui non le può dare quello
che lei vuole, ma lei spezza la sua superficie ghiacciata. Volevo anche
qualcuno che apportasse delle conseguenze nella sua vita. Lei è indipendente
per conto suo e non ha intenzione di aspettarlo per sempre. Volevo una storia
d’amore realistica e non di stampo cinematografico.
Il romanzo è pieno di musica- è naturale visto che nel nostro incontro
precedente mi ha detto che ama molto la musica. Vorrei che mi dicesse di più
sulla scelta di appuntare la nostra attenzione su Bob Dylan. Robert lo odia
perché suo padre lo amava, e tuttavia è Dylan che gli appare nella sua
allucinazione.
Personalmente sono un grande fan di Bob Dylan, ma non avevo pianificato
fin dall’inizio che avesse un ruolo così importante. Si è insinuato da solo nel
romanzo. È iniziato con Beck che lo odiava perché suo padre lo amava tanto.
Poi- come ho detto prima- Rauli era per me un poco come il giovane Dylan. E ascoltavo
molto la sua musica mentre scrivevo il romanzo e per questo ho intitolato ogni
capitolo come una canzone di Dylan. E mi piaceva l’idea che, fra tutte le
persone possibili, fosse proprio Dylan che dice a Beck che cosa debba fare. C’è
molta saggezza nelle canzoni di Dylan, e allora ho pensato: questo tizio
mostrerà il cammino al mio protagonista.
Perché ha scelto la fine degli anni ‘90 come tempo in cui ambientare il
romanzo?
Semplicemente volevo catturare quel tempo. E
non mi piace molto scrivere del futuro. Ho finito il romanzo nel 2007 e la
storia inizia negli anni ‘90 ma finisce nel 2008. Sarebbe stato strano scrivere
qualcosa che si svolge, diciamo a dieci anni di distanza nel futuro, perché non
sai mai che cosa succederà e non puoi controllarla in quanto narratore. Il
passato è tuo, il futuro è aperto.
Lei stesso entra nel romanzo come ex studente di Robert e mi ha
fatto pensare ai romanzi del ‘700 quando lo scrittore faceva sentire spesso la
sua voce nel libro che stava scrivendo. Qual è il suo ruolo nel romanzo?
Volevo
decostruire un poco il romanzo classico. La mia parte, poi, è anche una sfida.
Beck è piuttosto un personaggio, a volte cinico e duro, e io volevo mettermi
nel romanzo per fargli delle domande e vedere dietro la sua maschera. Era anche
un modo per raccontare una storia in una maniera che speravo fosse interessante
e insolita, specialmente la fine. O almeno, questo è quello che pensavo quando
avevo 21 anni.
Leggere a Lume di Candela è anche una pagina Facebook
recensione e intervista saranno pubblicate su www.stradanove.it
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