Voci da mondi diversi. Penisola balcanica
cento sfumature di giallo
il libro ritrovato
Petros Markaris, “La lunga estate calda del commissario Charitos”
Ed. Bompiani, trad. Andrea Di
Gregorio, pagg. 375, Euro 17,50
Dei terroristi si sono
impossessati di un traghetto per Creta, tra i passeggeri c’è la figlia del
commissario Kostas Charitos con il fidanzato. Mentre tutta la Grecia segue con ansia la
vicenda sugli schermi televisivi, Charitos deve occuparsi di una serie di
omicidi ad Atene. Sembrano opera di un maniaco, le vittime appartengono tutte
al mondo della pubblicità. Finché iniziano ad arrivare i messaggi
dell’assassino e, parallelamente, le richieste dei terroristi. Un finale che
prova che il passato non muore mai.
INTERVISTA A PETROS MARKARIS, autore de “La lunga estate calda del
commissario Charitos”
Deve essere la qualità della luce, o forse
la brillantezza dei colori, o il profumo dell’aria del luogo in cui vivono- ci
deve essere qualcosa che fa sì che i commissari dei romanzi di indagine
poliziesca scritti da autori dell’area mediterranea siano così diversi dai loro
colleghi scandinavi o dell’Europa centrale. La prima differenza che balza agli
occhi è che, tranne l’eterno fidanzato Montalbano, sono tutti felicemente
sposati e con figli, l’ateniese Kostas Charitos di Markaris, il triestino di
adozione Proteo Laurenti di Veit Heinichen, il veneziano Guido Brunetti di
Donna Leon. Mentre sono divorziati il Wallander di Mankell e il Van Veeteren di
Nesser o il cupo ispettore Rebus di Ian Rankin. E poi, per quanto si tratti sempre
di morti e di assassini, l’atmosfera è meno buia, meno sinistra, sempre in
qualche modo alleviata dalla serenità dell’ambiente famigliare, addolcita dai
pranzi cucinati dalle mogli, diversificata dalle preoccupazioni offerte dai
figli.
E tuttavia nel nuovo e atteso romanzo di Petros Markaris è proprio l’ansia
divorante per la sorte della figlia Caterina, tenuta in ostaggio dai terroristi
che si sono impadroniti del traghetto El
Greco, che spacca in due l’ispettore Kostas Charitos, diviso tra il
desiderio, che è una necessità quasi fisica, di essere là, al porto di Creta, a
seguire impotente da lontano quello che accade a bordo della nave, e il dovere
che gli impone di restare ad Atene dove agisce uno strano assassino che sembra
sdoppiarsi: un corpo da body-building vestito di nero, che si muove su una Harley
Davidson e uccide con una Luger del 1942, e una voce da vecchio con dentiera
che usa parole desuete come “pederasta”, “gagà” e “deretano”, e che dice di
essere l’assassino dell’ “azionista di riferimento”. Puntano sul ricatto i
terroristi sul traghetto, un morto al giorno se non verranno ottemperate le
loro richieste, e sono ricattatorie pure le lettere che riceve la testata di un
giornale e che impongono la sospensione di ogni pubblicità.
Come abbiamo già visto nei precedenti
romanzi, Petros Markaris ha la capacità di stimolare il lettore proponendo dei
retroscena insoliti per i crimini su cui indagare, in questo caso le guerre
vecchie e recenti dell’area balcanica e l’ipnotizzante pubblicità, così
invasiva e costante che abbiamo smesso di farci caso e che, però, è
assolutamente indispensabile per far girare il mondo dei soldi. Ma è attraverso
il personaggio di Kostas Charitos che le tematiche vengono filtrate, è in lui,
l’uomo medio che ha fatto sacrifici per far studiare l’unica figlia, che guida una
scassatissima Mirafiori, che ha scelto di entrare in polizia perché l’alternativa
era zappare la terra, che il lettore riconosce se stesso e quelle che
potrebbero essere le sue reazioni. Perché, dietro al sequestro della nave e
agli ostaggi freddati, dietro ai due omosessuali e alla giornalista morti con
un colpo in testa perché facevano pubblicità, c’è il problema della violenza
contro cui Caterina, la figlia di Kostas, si scontra per la prima volta con una
consapevolezza diversa mentre viene trattenuta come ostaggio perché figlia di
un poliziotto: c’è differenza tra la violenza della polizia e quella dei
terroristi, o degli assassini? Che sua figlia possa solo dubitare di lui e
della sua integrità, è un pensiero che sconvolge Kostas, e lo porta a riandare
al passato nero della giunta militare, per far sapere in qualche modo a
Caterina che no, suo padre non ha mai usato violenza, anzi, che ha cercato di
fare del suo meglio laddove il Bene non esisteva.
Leggere un libro di Petros Markaris è
sempre un piacere- si girano le pagine perché si è incuriositi dalla trama, ci
si sorprende a ridere delle battute di Kostas, si sorride dei continui
battibecchi con la moglie Adriana, ci si affaccia sulle acque blu del Pireo, si
impreca con Kostas per il traffico congestionato di Atene. Aspettando il
prossimo romanzo.
Stilos ha intervistato lo
scrittore che è nato a Istanbul nel 1937, figlio di padre armeno e madre greca.
Lo spunto dei suoi romanzi è sempre sorprendente ed originale. In
questo nuovo romanzo gli spunti sono due: quale dei due le è venuto per primo
in mente? Quello dei terroristi o quello delle stelle della pubblicità?
Lo spunto iniziale è stato quello della
pubblicità, anche se non immediatamente con la figura dell’assassino. Mi è
venuto in mente come conseguenza di un grosso scandalo politico- era il 2004,
il partito di centro-destra aveva vinto le elezioni e aveva dovuto fronteggiare
la situazione per cui tutti i media, specialmente i canali televisivi, erano
alleati del precedente governo. Per cercare di rovesciare la situazione avevano
pensato di varare una legge per cui chiunque detenesse una quota anche dell’1%
di un canale televisivo sarebbe stato considerato come azionista di riferimento
e non poteva accettare commesse pubbliche. Ora i canali televisivi appartengono
per lo più ad aziende di opere pubbliche; l’idea era di costringere queste aziende
a cedere sul mercato la loro quota di partecipazione, così sarebbe stata
comperata da quelli al governo. Ma l’Unione Europea ha messo il veto per mesi e
si è andati avanti all’infinito con la questione. Allora ho pensato che, dopo
tutto, il vero controllo dei media non è nelle mani di chi ha l’1 o il 2%, ma
in quelle delle compagnie di pubblicità. Sono loro a decidere tutto, che hanno
il coltello per il manico e davanti ad un rifiuto delle loro richieste non
mettono la pubblicità. I media dipendono dalle compagnie di pubblicità.
Per quello che riguarda il
secondo filone, dei terroristi sul traghetto- il romanzo inizia con un grande
evento, doppiamente grande per Kostas, perché ha la soddisfazione che sua
figlia si laurea e lui ha anche finito di mantenerla agli studi. E ho pensato
che era necessario che succedesse qualcosa di tragico per bilanciare questo
evento felice. Era il periodo in cui ci fu l’attentato dell’11 marzo 2004 a Madrid, e così ho
avuto l’idea del terrorismo. Poi ci furono gli attentati di Londra, e io mi
sono detto, ‘non ho più niente di cui scrivere’, e continuavo a parlarne con
mia figlia e con il mio editore…E mi è venuta l’idea del traghetto. Senza dire
nulla della trama e senza svelare che cosa ci sia dietro, mi preme dire che i
riferimenti politici sono veri, è vera la figura del vecchio, è vera la lettera
dell’arcivescovo e così pure la decisione del corpo di polizia di cui si parla
nel libro.
Il libro inizia con la domanda che il professore rivolge a Caterina che
sta discutendo la tesi, se la privazione della vita come risultato di un
attacco terroristico sia giuridicamente uguale alla privazione della vita come
risultato di un crimine che abbia per scopo un furto, ad esempio. Domanda
perfetta per una storia di delitti: tutte le morti hanno lo stesso valore?
Per me è lo stesso, nel senso che uccidere
è sempre male, non importa per quale motivo si uccida. Non esiste alcuna scusa,
non c’è alcuna giustificazione. Sono contro ogni tipo di terrorismo- sia
italiano o tedesco, sia sotto la forma delle Brigate Rosse o del terrorismo
islamico. Uccidere non è la soluzione, non si arriva a nulla uccidendo. Nel
romanzo ci sono due tipi di terrorismo, uno moderno ed uno antico che ha un
obiettivo più specifico. E il vecchio che incarna questo secondo tipo di
terrorismo disprezza gli altri che agiscono sul traghetto.
C’è un’altra domanda importante nel romanzo e riguarda la violenza: la
violenza è sempre la stessa, da qualunque parte venga?
Sì, la violenza è uguale, non si può combattere la violenza con altra
violenza, non combatti contro la violenza creando la violenza. Ci deve essere
una linea tra la violenza e la tortura organizzata e l’istituzione che protegge
l’integrità della gente: quando il governo tollera la violenza, anche chi governa
si mette sullo stesso piano. Succede dove la violenza è istituzionalizzata o
tollerata: è la differenza tra il vivere in una democrazia o tra i talebani.
C’è poi il tema ricorrente del ricatto: pensa che il ricatto- ad ogni
livello, politico o affettivo- sia un segno di vigliaccheria e di debolezza?
Penso che il ricatto sia la via più breve
per raggiungere cose che non sono raggiungibili. Per i terroristi è la cosa più
facile, minacciare di uccidere un ostaggio al giorno se le loro richieste non
vengono soddisfatte. La stessa cosa avviene per la polizia, per costringere
qualcuno a testimoniare. E’ la via più breve e illegale per raggiungere quello
che si vuole.
Kostas si lamenta spesso dello strascico dei giochi olimpici: i
vantaggi dell’essere il paese ospitante sono finiti insieme ai giochi? O ci
sono stati anche dei veri svantaggi come conseguenza?
Il vantaggio è stato che la Grecia ha avuto successo
per la brillantezza dell’organizzazione. Dobbiamo considerare che in Grecia
tutto è sempre un miracolo. La
Grecia è molto male organizzata, non ha solide strutture, non
ha una pianificazione efficace. Allora tutta questa debolezza dipende in
qualche modo dal miracolo, nel caso si riesca a concludere qualcosa. Quando
alla fine tutto funziona, gli stranieri dicono, ‘è un miracolo’. Il male dei
miracoli è che finiscono presto. Sono stati spesi un mucchio di soldi per
costruire delle arene enormi perché si voleva impressionare i visitatori, è
vero, ma anche perché gli appalti erano maggiori per costruzioni maggiori. Ora
nessuno vuole queste strutture gigantesche, nessuno le vuole comperare, i costi
di mantenimento sono alti, cadono a pezzi, sono abbandonate. Nel romanzo si
parla di una zona che si è trasformata in alloggi economici di albanesi e
zingari, sì, potrebbe essere una soluzione- ma noi paghiamo ancora il debito.
Un’altra cosa di cui Kostas si lamenta sono le “eurette”: quali sono
state le conseguenze dell’introduzione dell’euro in Grecia? C’è stato un
aumento dei prezzi come in Italia?
In Grecia con l’euro è successo come ovunque, i prezzi sono aumentati in
maniera spropositata. Però se non fossimo entrati in Eurolandia, la dracma sarebbe
crollata. L’euro è molto più stabile e anche più costoso. Per tutti i greci è
diventata abitudine cambiare mentalmente il prezzo in euro in quello corrispondente
nelle vecchie dracme per rendersi conto di quanto costi qualcosa. Il vantaggio
è che i greci non hanno alcun senso del denaro e così i politici se la sono
cavata. Ma i greci fanno fatica a mantenere il livello di vita che avevano
prima, nelle famiglie si deve lavorare in due e poi c’è il problema degli
interessi di credito, dei prestiti e dei mutui.
Di recente, in Italia, ci sono state delle discussioni sui giornali sul
termine politicamente corretto da usare per gli omosessuali. Le parole usate
nel romanzo sono divertenti e non proprio corrette, c’è persino l’adattamento
del vocabolo ‘finocchio’ in ‘finocchicidio’. Non c’è in Grecia l’ossessione per
il politicamente corretto?
Come scrittore vivo in un ambiente in cui gli omosessuali- o i gay che
dir si voglia- sono molto numerosi. Ho molti amici gay. Ma, fuori della cerchia
degli artisti o dei letterati, le parole usate per gli omosessuali sono
offensive e per questo ho messo nel romanzo delle vittime omosessuali, per
questo ho usato volutamente un certo linguaggio “scorretto”, per mostrare il
pregiudizio su queste persone.
Il passato riaffiora in molti suoi romanzi: quale consapevolezza hanno
i giovani di come fosse la vita in Grecia anche solo 30 anni fa?
Nessuna, definitivamente nessuna. Da noi
non è successo come è successo in Germania o altrove, dove si è chiesto a
quelli della passata generazione che cosa avessero fatto durante la guerra. Noi
Greci non abbiamo elaborato il passato, per quello insisto su questo tema nei
miei romanzi e in questo in particolare. Dobbiamo affrontare il passato, e
invece nessuno lo fa, neppure gli scrittori lo fanno ed è ancora peggio. E’
necessario un lavoro storico organizzato per affrontare il passato, della
guerra civile, della giunta. Adesso forse questo lavoro sta iniziando, ma molto
lentamente.
Caterina ha terminato gli studi, la Mirafiori pare fermarsi
definitivamente da un momento all’altro…andrà in pensione il commissario
Charitos?
Ah, la Mirafiori ! Non so proprio
che cosa fare con la
Mirafiori ! Ma no, Kostas Charitos non andrà ancora in
pensione.
recensione e intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos
per contattarmi: picconem@yahoo.com
Nessun commento:
Posta un commento