Voci da mondi diversi. Francia
guerra
FRESCO DI LETTURA
Sorj Chalandon, “La
quarta parete”
Ed.
Keller, trad. S. Turato, pagg. 288, Euro 17,50
In gergo teatrale la quarta parete è la parete immaginaria che separa gli attori dal
pubblico, che li isola nel mondo in cui stanno recitando, che crea un distacco
con la realtà che è là, nel buio, di fronte a loro, che gli permette di calarsi
interamente nella loro parte. Non c’è
proprio, letteralmente, il quarto muro nel locale di Beirut dove una compagnia improvvisata di attori metterà in scena
l’ “Antigone” di Anouilh- sono gli anni ‘80 del secolo passato, la guerra civile dilania il Libano, le
bombe hanno abbattuto il muro.
Dopo “Il mio traditore” e “Chiederò
perdono ai sogni”- entrambi con un protagonista che aveva vissuto in prima
persona gli anni dei ‘troubles’ nell’Irlanda del Nord-, Sorj Chalandon ritorna
al tema della guerra, in Libano questa volta, un conflitto che ha ‘coperto’ lui
stesso come giornalista per il quotidiano Libération.
Georges, alter ego di Chalandon, è un eterno
studente alla Sorbona, ha preso parte ai movimenti studenteschi tra i ranghi
dell’estrema sinistra, ha manifestato a favore della Palestina- ora è sposato,
ha una bambina. Sam, un amico
fraterno dei vecchi tempi, un ebreo greco fuggito dalla dittatura dei
colonnelli, sta morendo in ospedale e chiede a Georges di realizzare il suo sogno portando a termine quello che lui ha
iniziato: mettere in scena l’Antigone di
Anouilh a Beirut, far sospendere gli spari per il tempo della tragedia,
avvicinare- anche se per il breve tempo della recita- le diverse comunità
religiose in lotta tra di loro. Perché le donne e gli uomini con cui Sam ha già
parlato, i futuri attori, appartengono a
diverse confessioni- il suo Creonte è un cristiano maronita, Antigone è
palestinese, Emone (il fidanzato di Antigone) è druso, le guardie sono
sciite…Sul palcoscenico dovranno dimenticare i loro veri nomi, mettere da parte
le inimicizie e parlare con la voce di Creonte, di Antigone, di Emone. Ci
riusciranno? Avranno il permesso di farlo? Reciteranno
in un tempo sospeso tra gli spari? E’ solo l’utopia di un folle, un ebreo i
cui genitori sono stati deportati da Salonicco dai nazisti per finire ad
Auschwitz?
E così Georges parte per Beirut, con le
copie della tragedia di Anouilh nella valigia. Non è pronto per la realtà complessa che lo aspetta, gli scontri
degli studenti con la polizia dei suoi anni giovanili sono ben altra cosa in
confronto agli aerei israeliani che volano bassi, alla distruzione che vede
intorno a sé, alla paura che lo paralizza quando deve mostrare il lasciapassare
(ne ha cinque diversi) ai posti di blocco. Dapprima sembra che sia possibile realizzare il sogno di Sam, sventolare
un’immaginaria bandiera bianca di pace sui tre muri di un teatro improvvisato,
ravvicinare i nemici sul palco di terra battuta. Poi. Poi…Georges è ferito
(‘abbiamo sempre due occhi di troppo’: c’è qualcosa di metaforico nella
temporanea cecità di Georges?), Georges assiste al massacro nel campo profughi di Shatila- è il 18 settembre 1982.
L’orrore. L’orrore. Questi non sono
morti che si rialzano quando cala il sipario. Si può sopravvivere ad una
guerra ma non se ne esce indenni. E il finale di “La quarta parete” è un finale
di tragedia, di un’altra tragedia che ha
sostituito quella di Anouilh.
Si sente la partecipazione dello
scrittore, in quello che scrive. Si sente la voce di chi ha visto da vicino. Di
chi vorrebbe, disperatamente vorrebbe, che la guerra si potesse fermare, che il
sogno dell’ebreo greco moribondo potesse diventare realtà per farlo morire in
pace. Le frasi di Chalandon sono brevi, secche, stranamente poetiche e, in una
qualche maniera, sono in perfetta
sintonia con lo stile di Jean Anouilh.
Un libro molto bello, a
cui si continua a pensare.
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