Casa Nostra. Qui Italia
seconda guerra mondiale
Veronica Santoro, “L’interprete”
Ed.
Ponte alle Grazie, pagg. 464, Euro 18,05
Verona 1943.
È
sempre stato un crocevia, Verona. Tanto più nel 1943, quando, dopo l’armistizio
dell’8 settembre, la situazione si era ribaltata in Italia, i vecchi alleati
erano diventati i nuovi nemici, decisi a combattere fino allo stremo quei
voltafaccia degli italiani, a smettere di tergiversare e portare a termine la
soluzione finale degli ebrei anche in Italia dove finora avevano goduto di una
certa protezione.
Nel primo capitolo del romanzo di Veronica
Santoro veniamo introdotti ai personaggi principali che, in certo qual modo,
rappresenteranno le diverse posizioni di fronte al conflitto- il generale
Hauer, l’SS-Haupsturmführer Thomas von Peters, il preside di liceo Enrico Zorzi
e sua figlia Delia.
Von Peters è un bel giovane, ma alcuni dettagli del suo comportamento, il suo pallore, il suo stringere i pugni, il silenzio che segue la sua dichiarazione di aver servito nelle Einsatzgruppen a Cracovia, ci fanno pensare che abbia un tormento interiore, che non provi alcun orgoglio per l’efficienza distruttrice che dovrebbe tornare utile al generale a Verona.
Enrico Zorzi è venuto a presentarsi per offrire la collaborazione sua e della figlia- parlano entrambi un ottimo tedesco, possono fare da interpreti, Delia può essere assunta come segretaria. Zorzi si vanta di essere stato un fascista della prima ora e c’è qualcosa di odiosamente servile nel proporsi come aiuto agli occupanti. Peggio, perché non offre solo la sua di collaborazione, ma anche quella della figlia, una ragazza molto bella completamente soggiogata dal padre. Naturalmente Enrico Zorzi non fa parola del figlio che invece si è unito ai partigiani- Carlo, appena diciassettenne, ha il coraggio di fare quello che il padre, per opposti ideali, e la sorella, per vigliaccheria, non faranno, e possiamo indovinare fin da adesso quella che sarà la sua fine.
Sembra così lontana nel tempo, adesso, quella guerra che volevamo credere avrebbe messo fine a tutte le guerre (ma non crediamo sempre così, dopo ogni guerra?) e il libro di Veronica Santoro ce la riporta nel presente- tra il 1944 e il 1945 Verona fu pesantemente bombardata con un totale di circa 10.000 tonnellate di bombe sganciate da americani e inglesi, suona spesso la sirena di allarme nel romanzo, la gente ha paura, paura di tutto, delle bombe, del rimbombo minaccioso degli stivali tedeschi, degli arresti e delle torture di cui si sparge la voce, della possibilità che gli venga confiscata la casa (il fatto che Delia e il padre continuino ad abitare nella loro villa rivela il privilegio concesso ai collaborazionisti), paura delle delazioni e dei rastrellamenti (gli ebrei sono scomparsi, anche la famiglia che abitava vicino agli Zorzi, anche la ragazza che era amica di Delia), la paura arriva anche nell’ospedale psichiatrico dove, inaspettatamente, è ricoverato qualcuno che von Peters si impegnerà a salvare (sappiamo che fine abbiano fatto gli ammalati di mente con l’Aktion T4 nella Germania nazista), paura per chi ha un figlio, un fratello, un marito o un amante tra i partigiani.
Insieme a storie di tradimenti, di squallide
denunce, di spionaggio, di internamenti (non dimentichiamoci del campo di
transito di Fossoli), c’è anche una storia d’amore, forse prevedibile ma non
per questo meno possibile. Un amore difficile che, però, può ‘salvare’ sia lui
che lei- lui perché ha l’opportunità di riscattare il suo passato, anche se in
minima parte, lei perché può compensare la sua mancanza di coraggio, la sua
incapacità di prendere una posizione. E poi, come accade nei romanzi ambientati
in tempi di guerra, l’amore offre uno spiraglio di speranza, è la controparte
dell’odio e della morte.
Il romanzo- ce lo dice la stessa scrittrice
nella postfazione- è ispirato ad una storia vera di cui è venuta a conoscenza e
mi ha fatto ripensare a quella, simile, di Nini Wiedemann, la ragazza ligure
che si innamorò del capitano a cui faceva da interprete. Raggi di luce nel buio
della guerra.





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