mercoledì 1 ottobre 2025

Sanae Hoshio, “La casa del kintsugi” ed. 2025

                                               Voci da mondi diversi. Giappone



Sanae Hoshio, “La casa del kintsugi”

Ed. Mondadori, trad. G. Giordano, pagg. 203, Euro 20,00

   Ha qualcosa di magico, la parola giapponese ‘kintsugi’. E il kintsugi, anzi, l’arte del kintsugi, è magica. È l’antica tecnica con cui si riparano gli oggetti rotti saldandone i pezzi con una lacca speciale che poi viene ricoperta di polvere d’oro o d’argento. È una esaltazione dell’imperfezione, la si sottolinea senza nascondere nulla, abbellendola, dando all’oggetto nuova vita che si ricollega, però a quella passata.

   E allora non può che essere magico il romanzo di Sanae Hoshio che ha più di un livello di lettura.

   Il primo livello è il più facile- è la storia di tre donne della stessa famiglia, nonna, madre e figlia. Sono tre donne sole, la nonna perché è rimasta vedova (c’era stato un periodo in cui aveva molto sofferto, quando si era accorta che il marito la tradiva), la madre perché ha divorziato (per lei il lavoro era importante ma era troppo difficile conciliarlo con una famiglia senza la collaborazione del marito) e la figlia perché ha solo 16 anni e si trova davanti alla difficile scelta di una facoltà. Le storie private di queste tre donne potrebbero essere banali anche se il nostro interesse è risvegliato dalla condizione femminile rispecchiata dalle tre donne in tre epoche diverse- la nonna non ha potuto dedicarsi alla laccatura, come facevano gli uomini della sua famiglia, semplicemente perché apparteneva al sesso femminile, sua figlia non ha avuto dal padre il permesso di continuare a studiare perché, secondo lui, le donne che studiano non trovano marito, solo la giovane Mao respira il soffio della libertà ed è fortunata perché un ventaglio di possibilità si apre davanti a lei, scopre che c’è perfino una facoltà dell’artigianato.


    C’è però il secondo livello di lettura che è, forse, più lento ma affascinante perché ci introduce nel mondo dei laccatori facendoci apprezzare la pazienza, la serenità di quel lavoro manuale che non tiene conto del tempo e che, insieme, assicura una eternità di tempo agli oggetti che vengono riparati. L’arte del kintsugi va contro tutte le regole del mondo moderno, contro la perfezione ad ogni costo, contro l’automatismo, contro le mode fuggevoli. Sono tante le cose che non conoscevamo, dagli alberi della lacca e il modo di estrarre la lacca dalla corteccia alla maniera di riassemblare i cocci di vasi e scodelle, alla scelta del colore che meglio si addice alla riparazione, quello che aggiungerà qualcosa alla bellezza dell’oggetto.


    E c’è infine un terzo livello di lettura, quello che aggiunge un altro significato al kintsugi- anche noi essere umani abbiamo molto spesso bisogno di essere riparati, anche i nostri sentimenti o i nostri rapporti di amicizia o sentimentali. Tutti noi possiamo uscire da una crisi che ci ha infranto nel corpo o nell’animo, non uguali a prima, rappezzati ma migliori.


Dare lunga vita ad un oggetto è come dare lunga vita a un sentimento- il fermaglio di lacca che è stato regalato alla nonna da un giovane amico e che lei ha sempre conservato ne è il simbolo. La nonna ha avuto la sua vita, il fermaglio di lacca rosso è rimasto nascosto in un cassetto ma, in qualche modo, le ha dato la forza di andare avanti. È il passato che vive nel presente.

    “La casa del kintsugi” è un libro che consiglio a tutti quelli che amano il Giappone, o che sono interessati al Paese del Sol Levante e vogliono capirlo meglio.

purtroppo non ho trovato su internet una fotografia della scrittrice

    

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