Voci da mondi diversi. Africa
diaspora africanaPREMIO NOBEL
Abdulrazak Gurnah, “Afterlives”
Ed.
Bloomsbury Publishing, pagg. 231, Euro 6,50 (digitale)
Ogni anno mi astengo dal leggere gli
articoli in cui si specula sul possibile vincitore del premio Nobel per la
Letteratura- quando mai hanno indovinato? E, tanto per cambiare, l’annuncio del
7 ottobre con cui il premio veniva conferito allo scrittore tanzaniano
Abdulrazak Gurnah è stato una sorpresa per tutti. La motivazione del premio,
“per la sua intransigente e profonda analisi sugli effetti del colonialismo e
sul destino dei rifugiati tra culture e continenti”, ha suscitato subito la
nostra curiosità e l’impressione (anche se non ancora fondata sulla lettura dei
suoi libri) che finalmente (possiamo dirlo?) la scelta sia caduta su uno
scrittore che ha veramente qualcosa da dire, che leggeremo storie di un passato
che riverbera nel presente.
Quattro personaggi principali in “Afterlives”, il romanzo più recente di Abdulrazak Gurnah, ambientato nell’Africa orientale occupata dai tedeschi agli inizi del ‘900 (dopo la prima guerra mondiale i tedeschi sarebbero stati sostituiti dagli inglesi- cambiava poi molto?). Khalifa, Ilyas, Hamza, Afiya. Dapprincipio sembra che le storie che leggiamo siano slegate tra di loro, capiremo dopo che non è così. E dapprincipio siamo indotti a credere che sia Khalifa, figlio di un’africana e di un indiano, il protagonista. Invece Khalifa retrocederà sullo sfondo per poi riapparire, ma in secondo piano, rivelando una generosità e un’umanità che non ci aspettavamo da lui.
Ilyas
era un bambino quando era stato rapito dagli Ascari della Schutztruppe tedesca. Era scappato, era riuscito a tornare nel suo
villaggio per trovare i genitori morti e la sorellina Afiya affidata ad una
coppia di ‘zii’ che la trattavano come una schiava. Ilyas prende Afiya con sé,
poi, tra lo sconcerto di tutti, decide di arruolarsi volontario nella Schutztruppe, a fianco dei tedeschi
contro gli inglesi. Perché lo fa? Quella guerra non ha senso per lui.
Ammirazione per la cultura tedesca, per tutto quello che rappresentano? Di lui
non si saprà più nulla. Fino alla fine.
Hamza era stato venduto dai suoi genitori, era scappato e si era unito, anche lui, alla Schutztruppe. A Hamza è dedicata la lunga parte centrale del romanzo, tutto quello che la precede è una preparazione, niente è inutile o marginale, ogni piccola vicenda concorre a fare la Storia.
Gurnah
non indugia in descrizioni, capiamo che Hamza deve essere di bell’aspetto
perché gli occhi (così stupefacentemente azzurri visti dai nativi)
dell’ufficiale tedesco si fermano su di lui prima di sceglierlo come suo
attendente. Un privilegio discutibile. Di certo l’ufficiale lo protegge, però
Hamza diventa anche l’oggetto di un’attenzione difficile da qualificare. L’ufficiale
gli insegna il tedesco, gli fa leggere Schiller, dice che gli ricorda suo
fratello, ma il suo disprezzo è costante, venato di violenza e desiderio mai
apertamente manifesto. E però l’ufficiale tedesco salva Hamza quando questi
viene selvaggiamente colpito da un altro ufficiale che lo riduce in fin di
vita. Trasportato in una missione, Hamza è curato da un pastore, uno dei molti
personaggi marginali che hanno, però, la loro importanza nel libro, per la
parte attiva che rivestono nella vicenda e per il loro significato.
Afiya, infine, la sorellina di Ilyas. Per fortuna Ilyas le aveva insegnato a scrivere, perché era riuscita a mandare un messaggio a Khalifa (come il fratello le aveva detto di fare) quando era stata picchiata dallo ‘zio’ da cui Ilyas l’aveva riportata, semplicemente proprio perché era stata sorpresa a scrivere e una donna non deve saper scrivere- a chi scriverebbe? A un mezzano? Da questo punto, dopo che Khalifa prende Afiya a vivere con lui e la moglie, dopo il ritorno di Hamza, la storia procede ‘in salita’, non senza il rischio, per Afiya, di restare rinchiusa nell’asfittico mondo delle donne in cui vorrebbe tenerla la moglie di Khalifa.
Abdulrazak Gurnah non lancia accuse, non
dice niente apertamente. La Storia è lì, davanti ai nostri occhi. Il senso di
superiorità dei tedeschi colonizzatori, il disprezzo, la convinzione di essere
la salvezza per i selvaggi nativi che cela la voglia di un maggiore Lebensraum, lo spazio vitale di cui
sarebbero andati in cerca i nazisti, l’indifferenza verso la vita o la morte di
uomini ritenuti inferiori e, dall’altra parte, la fascinazione degli Ascari
verso un popolo dominante, le guerre incomprensibili per gli africani, le
rivolte di quelli che oggi verrebbero definiti ‘terroristi’- è tutto lì, nelle
piccole storie dei personaggi, storie che parlano di violenza, di crudeltà e di
morte, ma anche di atti di altruismo e di amore.
“Afterlives”- lo dice il titolo- non è solo la storia di ‘allora’, è anche la storia del ‘dopo’, dell' 'oggi', delle cicatrici, dei traumi, dei condizionamenti lasciati dal colonialismo.
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