vento del Nord
INTERVISTA A SOFI
OKSANEN
Quando arrivo nella hall dell’albergo
dove farò l’intervista a Sofi Oksanen, vedo per prima cosa la sua testa, da
dietro: una massa raccolta di lunghi dreadlock scuri mescolati a stretti
boccoli color rosa-shocking.
Sofi Oksanen è bella, di una
bellezza insolita, si farebbe notare anche senza la capigliatura ‘colorata’.
Occhi di un verde trasparente, pelle chiarissima, labbra piene. Parla un ottimo
inglese, come riescono a parlarlo come seconda lingua tutti i nordici, riflette
prima di rispondere. Mi avevano suggerito di non farle domande personali, non
le chiedo dunque se Anna, la protagonista del romanzo, è lei e decido che sì,
deve essere lei: dopo tutto tocca al lettore interpretare il libro.
Uno dei filoni del libro tratta dell’anoressia della protagonista: si
guarisce mai dall’anoressia? Lei la descrive come una sorta di affascinante
schiavitù. Che cosa la rende affascinante? La sensazione di potere sul proprio
corpo?
La differenza fra una malattia comune e i disordini
alimentari è che chi soffre di questi ultimi ama essere in queste condizioni.
Gli piace, non vuole liberarsene. Non è come l’influenza, per cui si prendono
delle medicine. La maggior parte di chi soffre di disturbi alimentari vuole
continuare a soffrirne. In genere ci si sottopone a terapie quando la cosa si
trascina da anni e allora la terapia è più difficile perché il disordine
alimentare ormai fa parte dell’identità, ci si è abituati, ci si sente sicuri:
hai creato te stesso con questo disordine. Diventa molto difficile da curare: è
qualcosa di biologico e non solo psicologico. E sì, non si guarisce mai del
tutto, al massimo si tiene sotto controllo. Come succede per gli alcolizzati.
Nel libro c’è una forte nostalgia per l’Estonia. Perché Anna sentiva di
appartenere di più all’Estonia che alla Finlandia?
La questione è quella
generale sulla storia degli immigrati. Essere un immigrato è vivere in un luogo
immaginario. Il paese dove hai le radici non esiste più dopo che lo hai
lasciato. Il paese di cui hai nostalgia non c’è più. E’ il caso degli estoni
che fuggirono in massa nel 1944: i figli e anche i nipoti sognavano un’ Estonia
indipendente che non esisteva più. E così, quando vi tornano, non riconoscono
più il loro paese. Per noi che vivevamo in Finlandia e ci tornavamo spesso, il
cambiamento non è stato una gran sorpresa. Ma quelli che erano emigrati in
Australia o negli Stati Uniti erano traumatizzati quando tornavano. E perché
Anna sentiva di appartenere all’Estonia? Forse perché sua madre Katariina è
depressa in Finlandia, i bambini vogliono vedere i genitori felici e per
Katariina la felicità è in Estonia.
Perché nel suo libro racconta solo la drammatica storia dell’Estonia?
Anche la Finlandia passò attraverso anni molto difficili durante e dopo la
guerra.
La Finlandia era la meta
più ovvia per l’emigrazione degli estoni. Però la Finlandia non riconobbe
l’Estonia dopo la caduta della Cortina di Ferro, fu uno degli ultimi paesi a
riconoscerne l’indipendenza. In Svezia dopo la guerra si formò una grossa
comunità estone- la Finlandia, invece, ‘restituì’ all’Unione Sovietica i suoi
rifugiati, molti scapparono in Svezia dove c’era una scuola estone, una casa
editrice, un giornale estone. Lo scopo della comunità era di ricostruire il
paese quando fosse stato di nuovo libero. I bambini studiavano per diventare
medici e avvocati con questo fine, per ricostruire il paese. Il Presidente
dell’Estonia è nato e ha studiato negli Stati Uniti, ma è tornato per mettersi
al servizio del paese. Era la maniera per tenere in vita l’identità nazionale.
Questo non accadde in Finlandia. Ed ora, rispondendo più precisamente alla
domanda, il mio interesse per l’Estonia è perché penso che la storia
dell’Estonia debba essere riscritta nella forma letteraria. E’ la storia che
non si trova nella letteratura finlandese dove non ci sono immigrati e, se ci
sono, sono degli stereotipi. Io scrivo in finlandese e considero i miei libri
come letteratura finnica, ma la storia dell’Estonia è storia d’Europa. Non si
fa alcuno sforzo per capire i problemi dell’ex blocco sovietico, ci si è
dimenticati tutto. Ci si ricorda dell’Africa, dei problemi del
post-colonialismo e non ci si accorge che i paesi dell’Est Europa hanno gli
stessi problemi, soffrono di post-colonialismo. Non so se potranno mai essere
cambiati in paesi occidentali come i paesi occidentali poco equamente si
aspettano.
Lei scrive romanzi, ma anche poesie e le sue poesie sono messe in
musica. A quale necessità interiore diversa rispondono i diversi generi
letterari?
Per ogni genere sono diversi i modi di
operare: le poesie che scrivo per essere messe in musica sono un lavoro di
squadra, come lo è scrivere per il teatro- sono una forma collettiva di arte.
Il romanzo, invece, è qualcosa che si fa da soli ed è bello lavorare ad un
progetto che dipende interamente da se stessi.
l'intervista è stata pubblicata su www.stradanove.net
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