Voci da mondi diversi. Islanda
Guđrún Eva Mínervudóttir, ““Reykjavík, Amore”.
Ed.
Iperborea, trad. Silvia Cosimini, pagg. 252, Euro 18,00
Il
titolo dell’edizione italiana del libro della scrittrice islandese Guđrún Eva
Mínervudóttir dice già tanto: “Reykjavík, Amore”. Sono cinque racconti
ambientati nella capitale che parlano d’amore. Pensiamoci un poco, quante forme
di amore ci possono essere. Tante, con tante sfumature. Cinque donne, cinque
storie e nell’ultima di queste riappaiono dei personaggi che abbiamo già
conosciuto, quasi a sottolineare una circolarità, un’atmosfera comune.
Guđríđur, Hildigunnur, Jóhanna, Sara,
Magga- alcuni di questi nomi, come quasi tutti i nomi maschili che troviamo nel
libro, sono per noi insoliti. Di uno ci viene detto il significato, insolito anche
questo- Hildigunnur vuol dire ‘battaglia-battaglia’.
La prima, Guđríđur, mette a confronto la sua famiglia disordinata con quella del marito e, dopo la morte prematura della madre, ricorda la dolcezza di una mattina quando lei era bambina e la mamma l’aveva aiutata a fare il bagno. Dopo, lei era corsa da sola a casa della zia- che cosa c’era di così speciale per lei in quel ricordo? C’era ‘l’equilibrio perfetto tra premura e indipendenza, tra intimità e libertà’. C’era l’amore di una mamma che era stata capace di innamorarsi di un immigrato del Nord Africa ma di restare abbastanza lucida da troncare la relazione appena iniziata quando si era accorta che lui ne avrebbe approfittato.
La
seconda, ‘battaglia-battaglia’, resta affascinata da un missionario texano con
i capelli rossi; la terza, Jóhanna, pur essendo felicemente sposata, si sente
attratta dallo zio narcisista della sua amica (lui morirà in Cecenia subito
dopo averle scritto una mail in cui le chiedeva di non dimenticarlo mai).
Sara,
invece, si chiede se ci sia qualcosa in lei che attragga la violenza, qualcosa
in lei che tiri fuori il peggio delle persone. Avrà due figli da due uomini
diversi, entrambi violenti, uno di loro la lascerà con una zoppìa permanente e
Sara troverà finalmente un amore tranquillo tra le braccia di una donna.
E poi l’ultimo racconto, forse il più bello, di certo il più straziante perché la Morte aleggia in tutte le pagine- sta morendo Magga, così indebolita da non riuscire a fare le scale per salire nel suo appartamento, e sta morendo il suo padrone di casa che abita all’ultimo piano e passa le giornate ascoltando musica d’opera. Magga non si fa illusioni, eppure è ancora attaccata alla vita e coglie quello che la vita le può dare, un ultimo legame d’amore con un uomo semialcolizzato che però è gentile e delicato con lei. Fanno insieme fronte comune contro i due missionari e sì, uno di loro è il texano con i capelli rossi che già abbiamo conosciuto e che parla un linguaggio vuoto per Magga. La scena finale è superba, scanzonata, pungente, irriverente, trionfale.
È l’amore, nelle sue più varie accezioni
che comprendono anche quello per una gatta, il vero protagonista del romanzo. E
non è necessario che l’amore sia sempre felice, è sufficiente saperlo cercare,
lasciarlo entrare nelle nostre vite senza lasciarsi soggiogare se questo si
rivela un amore sbagliato. Perché questi racconti scritti da una donna, con
protagoniste donne e rivolti certamente a lettrici più che a lettori, non
mettono gli uomini, i compagni, i mariti, gli amanti in buona luce. Facendo
eccezione per Soti, che non ha un lavoro, che beve e che fuma troppo, che è
l’ultimo da cui potremmo aspettarci doti positive, gli altri sono mariti o
padri scomparsi che non si sono presi le loro responsabilità, oppure sono
uomini violenti che hanno bisogno di sentirsi superiori picchiando le loro
donne. A quanto pare sono le donne che sono capaci di amare, più degli uomini.
La narrativa di Guđrún Eva Mínervudóttir scorre piana, con una semplicità e una vivacità molto piacevoli, con un occhio al quotidiano, sia nelle mini vicende che ci racconta, sia negli scorci di paesaggio cittadino, con la neve grigia che si scioglie al tepore del primo sole.
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