Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
distopia
Ian McEwan, “Quello che possiamo sapere”Ed.
Einaudi, trad. Susanna Basso, pagg, 376, Euro 19,95
E’ il 2119. C’è stato un drammatico cambio
epocale tra il XXI secolo in cui stiamo vivendo e il XXII in cui si muovono i
personaggi dello straordinario nuovo romanzo di Ian McEwan. Prima il Grande
Disastro, poi l’Inondazione. A seguito di un lancio di missili le acque
dell’Oceano si sono sollevate rovesciandosi su gran parte dell’Europa
occidentale. La Gran Bretagna è diventata un arcipelago di isole, qualunque
spostamento diventa difficoltoso. Se nel XXI secolo la sovrappopolazione era un
problema, adesso questo problema è scomparso, l’Inondazione ha decimato gli
abitanti del nostro pianeta. Anche i beni materiali scarseggiano, certi
alimenti sono introvabili.
In questo nuovo mondo (quanto lontano dal “Coraggioso nuovo mondo” di Huxley!) Thomas Metcalfe, studioso della letteratura degli anni tra il 1990 e il 2030, è sulle tracce di un poema scomparso. Si tratta della Corona per Vivien di Francis Blundy, una sequenza di sonetti in cui ogni sonetto inizia con il verso con cui termina quello precedente. Il grande poeta Francis Blundy lo aveva scritto per il compleanno della moglie ed era stato recitato nel 2014 ad una cena in cui erano presenti, oltre alla festeggiata, la sorella di Blundy con il marito (editor di Blundy, incaricato di scrivere la biografia del poeta), e altre coppie di amici. Il poema però era scomparso, tutto quello che se ne sapeva era i riferimenti che si erano trovati nello scambio di mail, stralci di diari, allusioni a quella sera di libagioni e cibi deliziosi ormai introvabili nel 2119. Erano tutti riuniti nel grande Casale di Blundy per quel “Second Immortal Convivio” (il riferimento era al Primo Convivio del 1817 a cui avevano partecipato Keats e Wordsworth). Era una documentazione che lasciava trapelare le correnti di amore, gelosia, invidia tra i presenti, che raccontava del primo matrimonio di Vivien con un liutaio vittima di Alzheimer in giovane età, delle ambizioni a cui Vivien aveva rinunciato per mettersi a disposizione del poeta dall’Ego smisurato- e però, a parte le parole di ammirazione per il poema, non c’era altro su che fine potesse avere fatto.
Metcalfe riesce a dissotterrare un contenitore nel luogo dove una volta, un centinaio di anni prima, si ergeva il Casale- e questa parte del libro sembra presa da un romanzo di avventura con l’avanzare dello studioso e della moglie in un bosco inselvatichito dopo aver dovuto noleggiare un’imbarcazione con tanto di skipper per arrivare là dove un tempo era tutta terraferma. Ed ecco che inizia un secondo romanzo, del tutto diverso da quello che abbiamo letto finora. È scritto da Vivien, una sorta di diario sulla cui veridicità non possiamo avere dubbi. È tutta un’altra storia che, in certo qual modo smitizza quella precedente, una storia di amore, di tradimento, di colpa. Soprattutto di colpa e di rimorso. Dobbiamo rivedere tutto quello che abbiamo pensato del grande poeta (molto borioso, a dire il vero) e della stessa Vivien e del loro amore. E naturalmente apprendiamo che ne è stato della Corona e quale significato avesse e perché dovesse scomparire.
Due romanzi in uno, leggere “Quello che
possiamo sapere” è come guardare le due facce della stessa medaglia, e
l’effetto è straniante. Il romanzo ambientato nel futuro è soffuso di
un’atmosfera tragica e nello stesso tempo nostalgica (quella stessa nostalgia
che prova Winston Smith nel “1984” di Orwell)- chi guarda al passato (ai
giovani non interessa il passato, faticano a portare a termine la lettura di un
libro di neppure cento pagine, gli studi umanistici sono in declino) prova
nostalgia per un tempo in cui vivere sembrava più bello, in cui c’erano più
specie di animali e di fiori, alimenti più vari e gustosi- ma che cosa sappiamo
veramente del passato? Quali verità si celano dietro gli scritti del passato
ormai tutti conservati in forma digitalizzata? Quale era la vera vita dei
personaggi famosi e mitizzati?
Il romanzo ambientato nel presente di noi lettori toglie il velo davanti al mondo sognato e rimpianto nelle pagine del futuro, ne mostra le meschinità e le brutture ed è come se anche a noi togliessero una benda dagli occhi- forse preferivamo il nostro tempo visto attraverso la lente del futuro, forse c’è un equilibrio tra le due prospettive.
La distopia di McEwan si basa soprattutto
sulle conseguenze del cambiamento climatico, sia nell’ambiente sia nella
società e nelle nazioni (l’America è diventata un luogo pericoloso dove
spadroneggiano i signori delle guerra e la Nigeria è il paese più ricco del
mondo) e il ‘primo’ romanzo ha un passo più lento- la ricerca del poema e la
celebrazione della grandezza di Francis Blunty, nonché la storia d’amore di
Metcalfe con la compagna studiosa, ci richiamano alla mente “Possessione” di
Antonia Byatt-, più vivace e ricco di sorprese il “romanzo dentro il romanzo”.
Quello che conta, però, quello che ci affascina, quello che ci tiene legati al
testo, è proprio la loro giustapposizione, la doppia prospettiva, e quel
pizzico di suspense.





Nessun commento:
Posta un commento