Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
cento sfumature di giallo
mystery
Kristen Loesch, “La vedova di Hong Kong”Ed.
Marsilio, trad. Isabella Zani, pagg. 365, Euro 19,00
Una ricerca nel passato. Un mystery. Una
storia di fantasmi che riecheggia un certo Poe e Henry James de “Il giro di
vite”, fantasmi elusivi e ambigui. Una storia di madri e figlie. Uno squarcio
sulla Storia della Cina sotto l’occupazione giapponese e immediatamente dopo la
Rivoluzione culturale. “La vedova di Hong Kong” di Kristen Loesch di cui
abbiamo già letto “La bambola di porcellana” è tutto questo: un romanzo
intrigante.
La trama scorre su tre linee temporali: inizia a Seattle nel 2015, si sposta poi in provincia dello Jiangsu, in Cina, nel 1937, a Hong Kong nel 1953 e, sempre a Hong Kong, ma nel 2015. L’ambientazione contemporanea è una narrazione in prima persona- Susanna, figlia di Mei (l’io narrante che ora ha 85 anni), ha ricevuto una lettera anonima in cui si diceva che quanto era accaduto a Maidenhair House, a Hong Kong, in una notte di fine estate del 1953, era tutto vero. C’era stato un massacro, erano state uccise delle giovani donne anche se nessun corpo era stato trovato- il luminol aveva rilevato sangue dappertutto. Una ragazza era scampata- Mei. E si diceva che era lei l’assassina. Ecco perché madre e figlia partono per Hong Kong, salgono sul Victoria Peak, entrano in Maidenhair House.
Nel 1937 Mei ha solo sette anni, sua madre è scomparsa, da lei Mei ha ereditato l’abilità nel ritagliare figure di carta e una sorta di terzo occhio con cui vede gli spiriti, creature del tutto vere per lei. E’ iniziata la seconda guerra sino-giapponese e Mei viene allontanata dalla famiglia e affidata a quella di Zio che lei crede essere il fratello della madre per scoprire invece che l’adorata mamma era la sua Quarta moglie. In questi anni Mei conosce George Maidenhair, che diventa per lei una figura a metà tra un padre e un maestro, è lui che le insegna a leggere. Ma, dopo la nascita della Repubblica popolare cinese, Mei deve fuggire da Shanghai, a Hong Kong si innamora e poi la sua vita viene spezzata. Il tempo avanza fino al 1953, sempre a Hong Kong. È qui che riappare, nel negozio dove lavora Mei, una ex attrice del cinema muto cinese che dice di essere la moglie di George Maidenhair e chiede a Mei di partecipare a sei serate di sedute spiritiche a Maidenhair House. Mei va, perché vede l’occasione per vendicarsi di George Maidenhair che le aveva causato il dolore più grande della sua esistenza.
Ho scritto che “La vedova di Hong Kong” è un libro intrigante. Perché mescola elementi molto diversi tra di loro- descrizioni di uno stile di vita della vecchia Cina (Mei si infuria contro l’usanza di ridurre le donne a dei numeri, Prima, Seconda, Terza moglie o sorella, lei è diventata una figlia adottiva perché, secondo una superstizione, in questo modo la Prima moglie avrebbe finalmente messo al mondo l’agognato figlio maschio, ci sono ancora delle donne con i piedini ‘fiore di loto’), il realistico bombardamento di Shanghai con la distruzione del Great World, edificio straordinario per l’epoca con le sue sale gioco, il ghetto ebraico di Shanghai, la città murata di Kowloon dove si riversarono i profughi cinesi.
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| the Great World |
E poi i burattini di carta e i fantasmi, così prettamente cinesi. I fantasmi entrano ed escono dalle vicende del romanzo, è difficile distinguerli dalle persone in carne ed ossa, appartengono di diritto alla cultura cinese che ha una festa dei fantasmi il quindicesimo giorno del settimo mese lunare, quando si aprono le porte dell’aldilà. Non siamo mai certi di che cosa accada veramente, di che cosa rappresentino questi spiriti che possono anche essere spettri del passato dei personaggi, personificazioni dei loro sentimenti. Leggendo il romanzo, noi ci arrendiamo al pizzico di sovrannaturale, lo accettiamo per quello che è. Quanto alle figure intagliate nella carta e ai burattini di carta che Mei fa per George Maidenhair- anche questi ultimi sono dei doppi di persone che veramente esistono, sfuggenti nella loro fragilità, inafferrabili.
Un
ultimo dettaglio poetico con un risvolto macabro- lo spillone per capelli che
il giovane di cui è innamorata ha fatto fare per Mei. Sullo spillone c’è una
peonia, il fiore dell’amore, quello che la madre di Mei usava come firma, lo
stesso che l’assassino aveva intagliato sulla schiena delle vittime (vittime
vere? fantasmi?), il fiore che riappare di continuo come un leit-motiv nelle
pagine del romanzo.
Ricco di colore e di suspense, un
page-turner di cui consiglio la lettura.
a breve metterò online l'intervista con la scrittrice






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