Voci da mondi diversi. Georgia
Ed.
Marsilio, trad. Fabio Cremonesi, pagg. 702, Euro 24,00
Bruxelles 2019. Tre amiche si incontrano ad una mostra di fotografie, dopo una trentina d’anni in cui si erano perse di vista. Il pensiero corre alla
quarta di loro che non è presente.
Tbilisi, Georgia, il decennio degli anni ’90.
Quattro bambine sono inseparabili compagne di scuola e di giochi, diventano
grandi in quei terribili anni di sconvolgimenti dopo la dissoluzione
dell’Unione Sovietica.
Sono due, dunque, i tempi della narrazione- il breve tempo di un vernissage in cui, davanti alle fotografie della mostra, si srotola il tempo lungo dei ricordi. È come se ogni fotografia accendesse un flash su un momento del passato, i capitoli hanno il titolo della fotografia davanti a cui Qeto, da sola o con le amiche, si è fermata e il tempo ritorna indietro, a quell’attimo, a quello che era successo, a quello che sarebbe avvenuto dopo.
Le fotografie che ritraggono loro quattro
bambine sono in un tempo che ha ancora la magia dell’infanzia, sospeso tra gli
ultimi mesi sotto il governo sovietico e l’indipendenza e i primi disordini. La
scrittrice ne approfitta per introdurre le famiglie di Via delle Vigne, del
caseggiato con il cortile dove accadranno tante cose, dove le bambine diventano
adolescenti, ognuna con la sua personalità- Qeto, l’osservatrice che si autoinfliggerà
delle ferite per sopportare il dolore che la circonda (bravissima nel disegno,
diventerà restauratrice), Ira, la studiosa, infelice per un amore inaccettabile,
andrà al college in America, diventerà avvocato e farà qualcosa che la bollerà
come traditrice, la romantica Nene, schiacciata sotto il giogo dello zio e dei
fratelli (boss della malavita, introdurranno l’eroina a Tbilisi), e Dina, la
fotografa, la solare Dina, Dina la leader, quella che prenderà decisioni che
cambieranno la vita di tutte loro.
Se la fotografia che le riprende tutte e quattro mentre si tuffano, dall’alto di una roccia, è la più emblematica dell’ “età dell’innocenza”, quella che sembra simboleggiare il salto audace ed entusiasta in una nuova fase della vita, un’altra fotografia, intitolata “Lo zoo”, è quella che fissa sulla pellicola un momento di svolta, il giorno in cui Dina e Qeto hanno la rivelazione improvvisa della violenza, della crudeltà, della morte. Qeto ricorda- lei si sarebbe data alla fuga, Dina aveva sfoderato la sua tempra, il suo coraggio, il suo senso etico. E aveva preso una decisione che era l’unica che si potesse prendere. Una vita viene salvata, ma a che prezzo? Un prezzo che non sarà mai saldato, neppure negli anni a venire.
E c’è un aumento progressivo di violenza
intorno alle amiche- sembra che tutto il mondo sia in guerra, guerra civile tra
sostenitori e oppositori del presidente, guerra tra le gang mafiose, guerra in
Abkhazia (Dina partirà per fotografare la guerra in Abkhazia, dirà che
preferisce correre il rischio di morire in guerra piuttosto che morire di
dolore). In questa società dominata dagli uomini che dettano le regole
dell’onore, è perfino difficile innamorarsi, è necessario nascondere gli
incontri d’amore, le minacce di vendetta per i tradimenti sono terribili. Ma
che cosa è la morale se tutto intorno a loro è immorale? “Questo orrore è la
nostra vita. Non possiamo più permetterci di avere una morale”, dice una di
loro.
A trent’anni di distanza, davanti alle
fotografie che le riportano indietro nel tempo, davanti a quegli scatti che
solo loro sono capaci di interpretare appieno, mentre gli sguardi curiosi degli
altri visitatori della mostra si appuntano su di loro, il senso di tutto
quell’orrore ritorna nella sua crudità- “Ma
voi come fate? Io non riesco a smettere di pensare alla morte, a tutto l’orrore
che mi sono ritrovata davanti alla mostra”, dice Qeto, ma la dolce Nene
ribatte, “C’era anche tanta bellezza,
Qeto. Non puoi separare le due cose. Prima ancora di avere 25 anni avevamo
visto e vissuto ben più di quanto la maggior parte delle persone vede e vive in
tutta la vita. A volte sono quasi grata per quelle esperienze.”Ponte della Pace, Tbilisi. Progettato da Michele De Lucchi
È un
libro bello, selvaggio e feroce, “La luce che manca”. Un libro di orrore e di
dolore. È però anche un libro che esalta il valore e il conforto dell’amicizia,
nonostante le difficoltà e le incomprensioni. È un libro di un decennio di
Storia travagliata del paese che è noto per aver dato i natali a Stalin, e
anche a Berija, gli esperti dell’orrore. E ‘la luce che manca’ è,
prosaicamente, la luce che salta di continuo a Tbilisi (tutti hanno candele e
torce di scorta), è la luce che manca nell’intero paese lasciando sprofondare
la Georgia nel buio di anni luttuosi, è Dina stessa la luce che manca, ora che
non illumina più, con la solarità del suo sorriso, il gruppo delle sue amiche.
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A breve seguirà intervista con la scrittrice.
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