Voci da mondi diversi. Area germanica.
cento sfumature di giallo
Veit Heinichen, “Lontani parenti”
Ed.
e/o, trad. Monica Pesetti, pagg. 278, Euro 18,00
Torlano, comune di Nimis, 25 agosto 1944.
Trentatre civili, fra uomini, donne e bambini, furono uccisi per una
rappresaglia da membri delle Waffen SS tedeschi e cosacchi, nonché da
collaborazionisti italiani.
Parte da questo eccidio, uno dei tanti purtroppo ricordato solo nel luogo dove accadde, il nuovo romanzo di Veit Heinichen, lo scrittore tedesco che vive ormai da moltissimi anni a Trieste e che ha preso su di sé il compito scomodo di portare alla luce crimini lontani e vicini della città che è sempre stata un crocevia di culture. Forse le parole che un personaggio di “Lontani parenti” rivolge a Proteo Laurenti, protagonista dei suoi libri, si adattano anche allo stesso Veit Heinichen- tu, dopo decenni che abiti qui non hai ancora perso lo sguardo del nuovo arrivato. Perché solo chi non ha fatto l’abitudine a comportamenti o reazioni, chi non ha già seppellito verità sgradevoli nella memoria, riesce a cercare di vedere chiaro e a tirare fuori verità scomode, polvere spazzata sotto il tappeto.
Il romanzo inizia con un assassinio. Il
morto aveva 75 anni, lavorava ancora come consulente finanziario, aveva la
residenza nel principato di Monaco, espediente comodo a molti. Ha lo stesso
cognome di uno dei colpevoli della strage di Torlano, sfuggito alla giustizia,
citato nelle pagine che gli sono state trovate in tasca. Questo è solo il primo
di una serie di morti, tutti uccisi con una freccia scagliata da una balestra
(arma singolare che non fa alcun rumore e colpisce da lontano) e per lo più
sorpresi in luoghi che hanno un significato nella memoria storica. Il
procuratore capo, uomo supponente e borioso che viene dal Sud, si dice certo
che si tratti di un serial killer, senza prestare attenzione a ciò che gli dice
Proteo- deve essere un vendicatore, e non un serial killer, non c’è niente di
ossessivo, nessuna ricerca di feticci in questi morti. Pare quasi che il
criminale o i criminali abbiano una lista di nomi da cui trarre una spunta, a
mano a mano che portano a termine un’esecuzione.
Il lettore sa subito chi sono i colpevoli, anzi, li segue nel loro accurato programma. Non c’è quindi la curiosità di scoprirli, piuttosto quella di sapere se verranno fermati, soprattutto se una delle vittime designate, una donna che ha ripudiato sua madre, aguzzina nella Risiera di San Sabba, riuscirà a sfuggire loro.
La parte più interessante del romanzo è,
come sempre, la Storia che c’è dietro, una Storia difficile e dolorosa in tutta
Italia, ma forse ancora più complicata in quella zona di confine dove agivano
tedeschi, fascisti, partigiani, titini e dove, a fine guerra, tutti, ma proprio
tutti, erano improvvisamente diventati membri della resistenza, bianchi come
agnelli. E poi, se è tremendamente vero che i tedeschi erano di una crudeltà
inaudita (‘ma sei ancora sicura di voler sposare un tedesco?’, dice il figlio
di Proteo alla sorella pronta a convolare a nozze con un avvocato di
Francoforte), sarebbe bene smetterla di pensare che gli italiani fossero ‘brava
gente’. Sarebbe bene smetterla di dire, e di voler credere, che la Risiera di
san Sabba era solo un campo di transito.
Queste sono le pagine dure del romanzo di Heinichen, alleviate dalla scherzosità di quelle in cui in primo piano è la vita di famiglia di Proteo (al dramma di sangue ‘fuori’ corrisponde il piccolo dramma fra le mura di casa della figlia Patrizia che pensa di essere incinta di un uomo che non è il padre della bambina che ha già, mentre si parla di prelibatezze culinarie, di vini e del matrimonio dell’altra figlia) e dall’apparire di due personaggi intriganti- il vagabondo probabilmente traumatizzato da un’altra guerra, quella dei balcani, e la novantacinquenne amica di famiglia che guida spavalda una Maserati Biturbo rossa. Troppo spavalda. Oppure? C’era qualcosa che non aveva detto?
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