Casa Nostra. Qui Italia
biografia romanzataprima guerra mondiale
Paolo Malaguti, “Il Moro della cima”
Ed. Einaudi, pagg. 280, Euro 19,50
Il Monte Grappa. Anzi, ‘la Grapa’, come la
chiama il Moro- e come è stata sempre chiamata fino a quando, dopo la Grande
Guerra, ha preso l’articolo maschile, così come pure la Piave, la Livenza, la
Brenta, hanno cambiato genere: potevano un monte o un fiume sacri alla Patria,
eroi alla pari dei soldati che avevano combattuto, essere altro che di genere
maschile?
Il Moro, al secolo Agostino Faccin, nato nel 1866 e morto nel 1951.
Sono il Moro e la Grapa i due
protagonisti, eccezionali, del nuovo libro di Paolo Malaguti in cui lo
scrittore ritorna ad un tema che gli è caro- la prima guerra mondiale- e che
già aveva esplorato nei precedenti “Sul Grappa dopo la vittoria” e “Prima
dell’alba” (ne suggerisco la lettura a chi non li conoscesse). E, a più di
cento anni dal conflitto che inaugurò un nuovo modo di fare la guerra e mentre
si sta combattendo un’altra guerra, il romanzo di Malaguti ha su di noi un
effetto straniante, come se non si fosse mai finito di combattere, su un fronte
o su un altro, lungo una direttiva che dal centro Europa passa attraverso i
Balcani arrivando in Ucraina.
Il Moro è, dunque, veramente esistito. Un uomo rude e senza cultura che, fin da ragazzino, guardava verso l’alto, verso le vette che dominavano il paese in cui viveva con la famiglia, desideroso di spazio, di aria, di vuoto, di libertà. Non faceva per lui coltivare i campi ed era stato grato al padre quando questi aveva accettato di mandarlo a badare alle vacche sui pascoli, durante l’estate. Aveva undici anni e si era innamorato della montagna. Aveva fatto il servizio militare, si era sposato, erano nati i figli ma, per fortuna, la moglie aveva capito: il Moro- come tutti avevano iniziato a chiamarlo per il colore della pelle esposta all’aria e al sole e per la barba scura- amava la montagna, non riusciva a starne lontano.
Paolo Malaguti si avvale del privilegio
dello scrittore per riempire gli spazi vuoti delle conversazioni, dei pensieri,
dei sentimenti del Moro, raccontandoci, la sua lunga vita che aveva preso una
piega diversa quando gli era stato affidato l’incarico di fare il guardiano del
rifugio costruito in cima alla Grapa. Era stato titubante prima di accettare,
gli era sembrato un sacrilegio, sia costruire un rifugio sia favorire l’ascesa
ai dilettanti della montagna. Poi aveva assunto il ruolo quasi di un sacerdote-
lui era il guardiano, il difensore della sua
montagna. Chi meglio di lui conosceva i sentieri, sapeva segnalare i percorsi
pericolosi, raccontare storie che erano diventate leggende?
La guerra, poi. Il fronte che arretrava, la paura per il figlio maggiore che era stato arruolato, la disfatta di Caporetto, la resistenza estrema sulla Grapa. Il libro, che era iniziato in un’atmosfera quasi idilliaca pur con le asprezze della vita contadina, cambia tono, precipita nell’orrore di una guerra in cui si combatte guardandosi in faccia, contro il nemico, contro il freddo, contro il rischio di congelamento, contro le malattie. Ed è un incubo senza fine, perché prosegue nel ‘dopo’, nella ricerca dei corpi, nello strazio dei genitori in cerca dei figli, nel commercio di tutti gli scarti rimasti sulla montagna, nella costruzione non di uno ma di ben due sacrari che per il Moro sono l’ennesima ferita inferta alla sua montagna, quello sventramento che la rende irriconoscibile.
Paolo Malaguti è riuscito con il suo
talento a calarsi nel personaggio del Moro, a farlo rivivere per noi. Non è lo
scrittore del secondo millennio che parla, ma è il montanaro che usa il
dialetto, che riflette con un buon senso terra-terra, che osserva la guerra
dall’esterno e dal basso, che si permette di scherzare sul ‘Firmato’ Cadorna,
sul piccolo Re (piccolo per statura e piccolo come regnante), sul Vate Orbo che
arriva, anche lui, sulla Grapa. E il Moro azzarda anche, su questi ‘grandi’,
una vendetta personale che sa di scherzo e di ‘afrore peccaminoso’, come dice
D’Annunzio.
Il libro, però, non è solo questo. Attraverso la storia della vita del Moro Paolo Malaguti ci racconta la Storia d’Italia e della sua gente più umile, quella avvezza ad obbedire e a combattere e a morire, ad onta della retorica del ‘dulce et decorum est pro patria mori’. E poi è un poema d’amore al monte Grappa che arriviamo a conoscere, con i suoi declivi, le sue rocce, i suoi sentieri impervi, i cieli infiniti che si aprono sopra la sua vetta- monte Grappa, tu sei la mia Patria, diceva la canzone che ci facevano cantare a scuola. Tanto tempo fa.
Un libro assolutamente da leggere. Un libro che tutti dovrebbero leggere.
Leggere a Lume di Candela è anche una pagina Facebook.
A breve seguirà intervista con l'autore.
Nessun commento:
Posta un commento