Diaspora ebraica
spy story
Nathan Englander, “Una cena al centro della terra”
Ed. Einaudi, trad. S. Pareschi,
pagg. 240, Euro 16,57
2014. In una prigione segreta nel deserto
del Negev il prigioniero Z vive rinchiuso da dodici anni. L’unica visita è
quella del sorvegliante.
2014. Il Generale giace da otto anni in coma in un letto d’ospedale,
assistito con un rispetto che sconfina quasi nell’amore da parte della sua
segretaria Ruthi.
2002. Parigi. Un giovane ex agente del Mossad è in fuga, si sta
nascondendo dai suoi che lo considerano un traditore. E’ stata la sua coscienza
a portarlo al tradimento? Conosce una bella cameriera che dice di essere italiana e se ne innamora, gettando al vento ogni
precauzione.
2002. Berlino. Il palestinese Farid si industria per guadagnare soldi
per la causa araba e stringe un’improbabile amicizia con un uomo d’affari
canadese.
Ad inizio lettura siamo un poco
sconcertati da questi quattro filoni narrativi, facciamo fatica a trovare il
bandolo della matassa. Le date finiscono per aiutarci. Se il prigioniero Z si
trova in una cella in isolamento totale da ben dodici anni- allora è lui il
protagonista dell’improbabile storia d’amore a Parigi, con una ragazza che aveva
visto nelle vesti di cameriera e poi ha incontrato di nuovo in una libreria-
non c’è niente di sospetto in un caso così fortunato che ti fa trovare l’ago
nel pagliaio? E non c’è niente di sospetto nel fatto che, quando è necessario
scappare alla svelta, la ragazza riveli di avere un padre ricchissimo e
potente, che riesca a fargli passare la frontiera e portarlo fino a Capri?
Troppo bello, troppo facile per essere vero, no?
Nathan Englander è particolarmente abile
nel mescolare i generi, lo avevamo già osservato ne “Il ministero dei casi
speciali”. Se questo filone è in parte una storia di spionaggio e in parte una
storia d’amore, il filone che si svolge a Berlino è decisamente più ambiguo ed
è interamente una spy story (a proposito, ogni narrativa di questo romanzo
potrebbe essere una short-story, un racconto, genere in cui Englander eccelle),
e quello che vede protagonista il Generale è forse il più importante, la chiave
di interpretazione del significato di tutto il romanzo. Il Generale- c’è chi lo
venera e c’è chi lo odia- è in coma, non è cosciente ma sogna, ricorda, rivede
flash del suo passato, sente di continuo il rumore di uno sparo, uno solo tra i
tanti che hanno assordato la sua vita, lo sparo del fucile antico che ha ucciso
suo figlio in un incidente. Il nome del Generale non viene mai fatto, ma tutti
i dettagli indicano che sia Ariel Sharon, il falco della destra israeliana,
l’eroe della guerra dello Yom Kippur ma anche il responsabile dei massacri di
Sabra e Shatila, nomi che ritornano nei suoi sogni (incubi?) insieme a quello
di Qibya, insieme alle parole di ordini impartiti ed eseguiti, a quelle di chi
debolmente cercava di contrastarlo e di chi- Ben Gurion stesso- lo accusava di
aver esagerato. Adesso il Generale si trova nel Limbo di una quasi morte che
non è vita, proprio come si trova nel Limbo di una vita che è quasi una morte il
prigioniero Z il cui nome non risulta su nessuna carta, per cui lui non esiste
per nessuno se non nella mente del Generale che però ha smesso di funzionare.
C’è ancora un filone con la data del 2014 ed è più artificioso degli
altri anche se è portatore di un messaggio di speranza in un libro che vuole
essere il dramma senza soluzioni di una convivenza palestino-israeliana. E’
un’altra storia d’amore, tra Shira, la cameriera che non era italiana ma ebrea
e che ha fatto innamorare la spia di Parigi, e il mappatore arabo designato a
tracciare i confini dei due stati: sono loro due che si incontrano per una cena
nel tunnel sotterraneo tra la striscia di Gaza e Israele, mentre fuori infuria
ancora il conflitto. Un’altra virata di genere, con un tocco di surreale, in un
romanzo che parla di traditori che sono anche stati traditi, di imprese
violente che non possono non ricordare le azioni naziste, di amori impossibili.
Un romanzo che nasconde una condanna sotto un che di favolistico e che non
piacerà molto agli israeliani.
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