mercoledì 2 marzo 2016

Boualem Sansal, “Il villaggio del tedesco” ed. 2009

                                                   Voci da mondi diversi. Africa
                 Shoah
                 il libro ritrovato


Boualem Sansal, “Il villaggio del tedesco”
Ed. Einaudi, trad. Margherita Botto, pagg. 211, Euro 19,50

Titolo originale: Le village de l’Allemand ou Le journal des frères Schiller

     Resterà il capitolo delle circostanze attenuanti, ma ho riflettuto sulla questione e credo di essere giunto alla conclusione che un uomo fagocitato dal Male che non si suicida, non si ribella, non si costituisce per chiedere giustizia in nome delle vittime, ma anzi fugge, si nasconde, organizza l’oblio per i suoi, non ha diritto alla compassione, a nessuna circostanza attenuante.

    Chissà se è il caso che fa sì che scegliamo di leggere un libro piuttosto che un altro. Chissà se la nostra mente gira intorno a un’idea ed è quello che rende possibile che ci ‘lasciamo scegliere’ da un libro, così che diventa impellente leggerlo. Avevo appena terminato la lettura de “Il bambino senza nome” di Mark Kurzem e mi sono ritrovata tra le mani “Il villaggio del tedesco” di Boualem Sansal. Dopo un libro scritto da un australiano, figlio di un ebreo emigrato dalla Russia, quello di uno scrittore algerino. Entrambi romanzi sulle tracce del passato: un figlio che cerca di ricostruire l’identità del padre scampato alla Shoah (ricerca vera e ricordi autobiografici del padre nel libro di Kurzem) e un figlio alla ricerca della conferma, passo dopo passo, che il padre è stato un criminale di guerra, uno degli artefici dell’Olocausto, nel romanzo di Sansal.

    Boualem Sansal non è sulle tracce del suo vero padre, ma quanto racconta dell’ufficiale delle SS che è riuscito a fuggire dalla Germania in macerie, presumibilmente a piedi o su mezzi di fortuna per sfuggire ai controlli degli Alleati, è plausibile- è quanto accadde a moltissimi criminali nazisti supportati da varie organizzazioni finanziate da governi di destra, ma anche dallo stesso Vaticano. Hans Schiller, ingegnere chimico (facile intuire quale fu il suo ruolo nei campi di sterminio), era riuscito ad arrivare in Algeria: quale nascondiglio più introvabile di uno sperduto villaggio non raggiunto neppure dalle corriere? Lì era diventato una sorta di eroe, partecipando alla guerra per l’indipendenza, organizzando addirittura la lotta, forte della sua esperienza e delle capacità organizzative tutte teutoniche. Aveva sposato la figlia dello sceicco e ne aveva avuto due figli che aveva mandato, ancora bambini, in Francia- perché avessero un futuro. Oppure chissà…
Sono i due figli a raccontare la storia, due voci diverse che ci parlano dalle pagine di due diari: il trentatreenne Rachel (ma il suo vero nome è in parte arabo e in parte tedesco, Rachid Helmut) e il ventenne Malrich (che si chiama in realtà Malek Ulrich). Rachel laureato, sposato, ben inserito nella società francese. Malrich non ha finito gli studi, vive nella banlieue parigina, frequenta amici dai nomi coloriti- Togo al Latte, Cinque Pollici, il Monco, il balbuziente Idir che Dici-, tutti teppistelli come lui. Eppure Rachel si è ucciso- più precisamente, si è gassato con i gas di scarico dell’auto, chiudendosi in garage. Se aggiungiamo che indossava una specie di pigiama a righe, si era rasato il cranio alla bell’e meglio ed era ridotto a pelle e ossa, ci appare chiaro che la sua morte è un’espiazione. Ma non è chiaro affatto a Malrich, che non sa nulla dei campi di concentramento e del genocidio degli ebrei- dopo aver letto il diario del fratello si improvviserà maestro per i suoi amici che, proprio come lui ‘prima’, ignorano anche chi sia Hitler.
      Sono due le ricerche nel romanzo di Boualem Sansal- la prima, quella di Rachel, che guida la seconda, di Malrich. La prima che inizia per caso- i genitori di Rachel sono stati trucidati nel loro villaggio dagli integralisti islamici, Rachel parte per l’Algeria e trova i documenti del padre. Da questo momento Rachel precipita nell’Inferno: non ha mai il minimo dubbio che ‘papà’ sia lo stesso uomo che, in qualche modo, ha supervisionato il funzionamento delle camere a gas. Il suo itinerario attraverso l’Europa e poi lungo la via di fuga del padre non è una ricerca di prove ulteriori, piuttosto una via Crucis di autoflagellazione- Mio Dio, chi mi dirà chi è mio padre?
Ricadono sui figli le colpe dei padri? Come chiedere perdono, come fare giustizia? E Rachel decide l’unica maniera per lui possibile.
La ricerca di Malrich è un vero e proprio romanzo di crescita dentro il romanzo: se Rachel aveva calpestato le orme del padre, Malrich calpesta quelle del fratello. Apprende molte cose, Malrich, e, nel suo modo confuso, unisce passato e presente- la dittatura nazista e quella dell’integralismo islamico. Tutte le norme, i soprusi, le limitazioni, le eliminazioni di chi non si adegua alle leggi dell’islam, non ricalcano un ‘già visto’ in altri luoghi e altre circostanze storiche?


      Se questo parallelo sembra a noi un poco forzato, ricordiamo però che Boaulem Sansal vive tuttora in Algeria dove le sue opere sono messe al bando. E bisogna riconoscere che lo scrittore ha la capacità di agghiacciarci nello scorrere tra orrori del passato e del presente. Con qualche sorriso tra il divertito e l’amaro davanti al piglio irriverente del giovane Malrich, ben espresso nel linguaggio del suo diario, molto diverso da quello del colto fratello. 

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it

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