Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
romanzo 'romanzo'
FRESCO DI LETTURA
Kent Haruf, “Canto della
pianura”
Ed.
NN, trad. Fabio Cremonesi, pagg. 301, Euro 15,30
Non potevo aspettare. Ho terminato di
leggere “Benedizione” e ho incominciato subito “Canto della pianura”: un chiaro
caso di sindrome di astinenza da Kent
Haruf, una volta che l’ ho scoperto. Un’osservazione sui titoli dei libri di Kent Haruf, essenziali come il suo stile, come le
sue storie: Plainsong, l’originale di
“Canto della pianura”, è anche il canto
monacale, inebriante nella sua nudità, ed è, sì, il canto della pianura da
cui Haruf trae gli accordi per i suoi romanzi, illuminando di una fascino
antiquato la sua cittadina fittizia di Holt (si è ispirato a Yuma, in Colorado,
dove ha vissuto negli anni ‘80 del 1900), Eventide
è il titolo del libro che chiude la trilogia e che deve ancora essere tradotto-
‘sera’, ma anche ‘vespro’, ricco di suggestioni che lo collegano alla musica di
Plainsong e alla meditazione
sull’ultimo mese di vita di Dad Lewis, su ‘quel
che resta del giorno’, per dirlo con il titolo del bellissimo romanzo di
Kazuo Ishiguro.
Anche in “Canto della pianura” seguiamo diversi filoni narrativi che si
intrecciano con le storie di persone che abitano a Holt- il professore di Storia americana Guthrie, i suoi figli Ike e
Bob, di dieci e nove anni, la
diciassettenne Victoria, per metà di sangue indiano, e gli anziani fratelli McPheron. Posso darvi alcuni indizi su quello
che accade- tanto e poco. Guthrie ha
una moglie che soffre di depressione e che se ne va di casa (ma il matrimonio è
già finito), deve affrontare un alunno difficile che pretende di essere
promosso per andare al college, ma non ha mai studiato (e i genitori, rozzi e
ignoranti quanto lui, lo spalleggiano), troverà infine un nuovo amore. I due ragazzini soffrono per
l’allontanamento dalla madre e fanno le prime scoperte sulla vita (le
sigarette, il sesso, trovare una donna morta). Victoria viene messa fuori casa dalla madre perché è incinta e una
sua insegnante chiede per lei ospitalità presso i fratelli McPheron. Questi sono due personaggi straordinari,
il ‘tesoro’ del libro. Non hanno potuto studiare, si intendono di vacche, non
sanno nulla di ragazze giovani e tanto meno di ragazze incinte- forse, però, la
nascita di un bambino non è tanto diversa da quella di un vitello. Commuove
vedere come i due uomini, non più giovani, certamente non spinti da alcun
motivo egoistico, si addolciscono, si prodigano perché Victoria si trovi bene,
stia bene, sia felice. Si sforzano di fare conversazione con lei, lambiccandosi
il cervello per trovare un argomento (sono teneri e buffi), la accompagnano a
comprare una culla (e deve essere la più bella). Eppure il mondo è buio, è più
facile pensare il Male che il Bene, quello
che i McPheron stanno facendo è incomprensibile ai più che si domandano
perché. Si diffonderanno pettegolezzi, qualcuno arriva a chiedere se facevano i
turni con la ragazza- la meschinità e la grettezza, non hanno limiti.
Tutto
qui? Sì, tutto qui, c’è un finale per ognuna delle storie, il coro di voci si distende in armonia. Ma è un libro che si deve
leggere per capirne la bellezza. Ho pensato ad altri scrittori della
quotidianità- a Elizabeth Strout e Alice Munro, a John Williams, che non hanno bisogno dell’extra-ordinario
per scrivere libri straordinari. Ho anche pensato che forse la letteratura
americana è spaccata in due- da una
parte gli scrittori di best seller, quelli che sfornano un libro dopo
l’altro con un occhio al mercato, e dall’altra
gli autori di capolavori, di gemme preziose che illuminano la mente e il
cuore dei lettori. Come Kent Haruf.
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