Voci da mondi diversi. Cina
la Storia nel romanzo
intervista
Adam Williams, “Il
palazzo dei piaceri celesti”
Ed.
Longanesi, trad. Paola Merla, pagg. 741, Euro 19,00
Leggendo
il romanzo “Il palazzo dei piaceri celesti” dello scrittore inglese Adam
Williams ho provato lo stesso entusiasmo di quando lessi “Shogun” di James
Clavell, trent’anni fa. Come Clavell, Williams ha la capacità di farti
dimenticare la realtà quotidiana, di trasportarti in un mondo lontano, di farti
vivere la vita dei suoi personaggi condividendo passioni e paure, riflessioni
ed avventure. La storia è quella di tre nuclei famigliari a Shishan, nel nord
della Cina, nel 1899: il dottor Airton e sua moglie dirigono un piccolo
ospedale, Frank Delamere è un commerciante, felice per l’arrivo della figlia
Helen Frances dall’Inghilterra, Septimus Millward è un missionario fanatico.
Due linee ferroviarie, una cinese e una russa, sono in costruzione in questa
fine di secolo, e la novità tecnologica non può non risvegliare
Si salvano soltanto la famiglia del dottor Airton e Helen Frances, grazie all’aiuto del mandarino e di Henry Manners, l’inglese coinvolto in un traffico di armi tra Cina e Giappone, l’affascinante eroe tenebroso alla Heathcliff che seduce l’incantevole e appassionata Helen Frances, la introduce all’oppio, la mette incinta e, nello stesso tempo, ruba al maggiore Lin la sua bella prostituta cinese. Per ironia del destino la salvezza è dietro le porte di quello scandaloso Palazzo dei Piaceri Terrestri, luogo di perdizione per gli occidentali, in cui è vero che si comprano tutti i piaceri, ma è anche vero che le donne e i ragazzini possono venire “obbligati” ad essere compiacenti con mezzi brutali. Due culture a confronto, in questo romanzo che, pur non essendo un “romanzo dell’Impero”, ci ricorda “Passaggio in India” di Forster, per quel tentativo di connessione (“only connect” era la citazione all’inizio del libro di Forster) tra due mondi, ognuno dei quali ha molto da dare all’altro, nel rispetto delle differenze. Abbiamo incontrato Adam Williams a Milano e abbiamo parlato con lui della Cina di allora, quando vi arrivò la sua famiglia, e della Cina moderna: è passato più di un secolo che sembra essere durato di più che in Europa e che certamente ha apportato più cambiamenti nella società cinese che in quella europea.
Leggendo il suo romanzo
si capisce subito che Lei conosce molto bene la Cina, e dall’interno. Quando è
arrivata in Cina la Sua famiglia?
Entrambi
i miei bisnonni sono giunti in Cina verso il 1890. Il mio bisnonno materno era
un medico missionario scozzese e quello paterno era un ingegnere inviato in
Cina per costruire la prima ferrovia che andava da Pechino a Mukden. Anche suo
figlio diventò un ingegnere e disegnò molti ponti ferroviari della Manciuria, e
sposò la figlia del bisnonno medico. Fu un matrimonio infelice, da cui nacque
mia madre. Io sono nato a Hong Kong dove mio padre lavorava e ho studiato in
Inghilterra.
Il Suo caso è l’opposto
di quello degli scrittori asiatici che vivono in Occidente e devono adattarsi
ai modi di vita occidentali. Una domanda banale: si sente inglese o cinese?
Dove sono le sue radici? E quelle dei suoi figli?
Per
i miei figli è certamente più facile, perché hanno conosciuto solo la Cina. Mio
figlio adesso studia a Oxford, ma “casa” per loro è senza dubbio Pechino. Io
sono senza radici, sono cresciuto a Hong Kong, poi sono andato in Giappone, ho
frequentato le scuole in Inghilterra. La Hong Kong di allora non esiste più,
era una città coloniale, è diventata una metropoli. Hong Kong non era Cina, era
britannica, ma la Cina era dietro le montagne e in casa mia la Cina era sempre
presente. Sono cresciuto ascoltando le filastrocche che mia madre mi diceva e
che lei aveva sentito dalla sua amah manciù. Eppure mi sento ancora uno
straniero in Cina. C’è un detto in Cina: se passi una settimana in Cina, puoi
scrivere un romanzo; se ci passi un mese, puoi scrivere un articolo su una
rivista, e, se ci passi la vita, non osi scrivere più niente.
Perché ha scelto la fine
dell’800 come ambientazione per il suo romanzo?
Quella
fu l’epoca della ribellione dei Boxer che si stava fomentando nel 1899, esplose
nel maggio del 1900 e finì nell’agosto dello stesso anno. Fu uno scontro tra la
Cina feudale e le nuove forze portate dall’Occidente. I Boxer erano contadini
superstiziosi, strumentalizzati dal mandarinato in direzione xenofoba.
Erano
una reazione contro le forze del cambiamento: arrivavano i treni, portavano via
lavoro, arrivavano i cristiani sconvolgendo le tradizioni dei villaggi. Io vivo
nella Cina di un secolo dopo e, in un certo senso, ci sono delle somiglianze:
in entrambi i casi c’era un’ortodossia che è stata turbata dall’irruzione di
nuove idee dell’Occidente. Mi interessava questo scontro culturale, questa
reazione contro il cambiamento e poi la storia stessa della mia famiglia. Nei
cinesi io amo il pragmatismo, la capacità di compromesso. Noi tendiamo ad
essere più assolutisti, in Cina si guarda di più quello che interessa al
gruppo.
A proposito di questo
parallelo con la situazione attuale, con questa nuova “invasione” occidentale
della Cina: quali sono le reazioni? Come vengono accettate le nuove mode, le
nuove tecnologie, i nuovi comportamenti?
Non
c’è mai stata tanta penetrazione occidentale come adesso, perché il governo
cinese ha proprio abbracciato il modernismo, preferisco chiamarlo modernismo
piuttosto che occidentalizzazione, significa che vengono assimilate idee
occidentali, standard occidentali. Ma ci sono ancora contraddizioni, forse non
così forti come all’epoca in cui arrivò la ferrovia portando via lavoro, ma ci
sono milionari che fanno fortuna con speculazioni sul mercato immobiliare,
proprio come succede in America, ci sono fenomeni da cui non tutti traggono
beneficio, c’è chi resta fuori, e questo crea delle tensioni. L’anno scorso,
quando c’è stata l’epidemia di SARS, è balzato fuori il lato nascosto, quello
meno pulito della crescita degli anni ’90. Si è visto come le campagne mancassero
di assistenza medica; la crisi del momento di emergenza ha rivelato i livelli
di corruzione e Internet è diventato un importante veicolo di comunicazione. La
conseguenza è stata che il governo è diventato più socialmente consapevole, c’è
un nuovo concetto di trasparenza. Prima dell’epidemia di SARS il concetto di
trasparenza era solo finanziario, dopo è diventato un concetto che si applica
al governo e alle attività del governo. Questo cambiamento è drammatico e ha
effetti contradditori.
Ci sono ancora elementi della vecchia cultura, c’è un
movimento religioso bandito dal governo, quello dei Falun Gong, una setta buddista
pacifista che ha fatto una protesta in difesa dei diritti umani e che
rappresenta un poco la stessa reazione dei Boxer davanti alle nuove idee in
passato.
Falun Gong |
La cultura cinese è
molto antica e c’è un personaggio nel Suo libro, il dottor Airton, che ci fa
pensare al Professor Fielding in “Passaggio in India” di Forster: è lui quello
che apprezza la cultura cinese senza voler imporre la propria, di cultura. Il
missionario Millward è l’opposto.
Il dottor Airton è un uomo illuminato,
anche se poi non è chiaro se vive secondo i precetti che predica. Il tipo del
missionario Millward era certamente più comune, anche se non tutti erano così
strani come lui. Molti missionari protestanti avevano una visione semplicistica
del cristianesimo e non si rendevano conto di come le loro idee fossero spesso
fuori luogo e addirittura avessero un’altra valenza nella società cinese. Così
l’immagine del buon pastore, per esempio, o quella dell’Eucarestia. Si creavano
dei fraintendimenti paurosi, anche se con le migliori intenzioni, e il
risultato fu la ribellione dei Boxer. In un certo senso fu anche colpa del
Vaticano: i gesuiti in Cina erano sensibili all’essenza del confucianesimo, che
era basato sulla venerazione degli antenati.
Non era quindi un’adorazione di
idoli, era una forma di pietas filiale e questa era una virtù cristiana. Nel
XVIII secolo il Papa decise di attaccare il confucianesimo e perse le simpatie
dei mandarini. Il cattolicesimo diventò la religione dei poveri e per loro era
un vantaggio perché il governo doveva trattarli in maniera diversa. Se c’era
una disputa terriera, ad esempio, secondo i trattati internazionali il
contadino poteva ricorrere ai missionari e questi al console e poi
all’imperatore. Si creavano così delle differenze.
E’ praticata la religione
adesso? E quale religione?
Ogni
volta che vado in una chiesa mi stupisco di vedere quanto sia affollata.
Moltissimi fedeli hanno sofferto le persecuzioni durante la Rivoluzione
Culturale. Eppure sono numerosissimi e ci sono anche tanti giovani. C’è un vero
e proprio revival religioso, di tutte le religioni e non solo quella cristiana,
ma anche il taoismo, il buddismo, o altri culti come il Falun Gong di cui si
parlava prima. La posizione ufficiale è quella di libertà di religione, ma la
religione non deve contestare lo stato. La situazione più difficile è quella
dei Russi ortodossi perché la loro chiesa non è riconosciuta.
Il secolo XX è stato un
secolo di grandi cambiamenti ovunque, ma mi pare che abbia portato cambiamenti
ancora maggiori in Cina. Per le donne ad esempio. Nel romanzo ci sono le donne
ancora con i piedi fasciati.
Mao
diceva che le donne sostengono la metà del cielo. Le donne con i piedi
fasciati: la legge che li proibiva è del 1911, ma io ho visto delle vecchie
signore con i piedi fasciati ancora negli anni ’80. La vita è molto cambiata,
soprattutto per le donne, anche se poi ci sono differenze tra quello che si
dice e quello che si fa, ci sono ancora doppi standard, c’è ancora la censura.
La Cina è arrivata tardi, ma si sta muovendo molto veloce nel nuovo mondo, ci
sono più telefonini che in America. Ma non è una società che si muove tutta
insieme: il progresso è più sulla costa, nell’Ovest sembra ancora di essere
all’età della pietra. C’è ancora un abisso tra ricchi e poveri, tra Est e Ovest
del paese.
La cultura in Cina: dopo
il silenzio imposto dalla rivoluzione culturale, c’è una nuova ondata di
scrittori cinesi. Com’è la situazione delle università in Cina?
Per
le università c’è certamente una richiesta che supera l’offerta dei posti. Le
università sono ottime, tuttavia, e il livello di preparazione degli studenti
si può giudicare dalle domande che vengono rivolte ai capi di Stato in visita,
ad esempio. Però c’è ancora la censura in Cina, non tutto quello che si dice in
privato si può dire apertamente, non ogni libro viene pubblicato. “Cigni selvatici” è ancora proibito, al libro di Hilary Clinton è stata tagliata la
parte in cui parla della Cina. Ci sono molte traduzioni di libri stranieri ma
la situazione editoriale resta difficile.
L’oppio: Helen Frances
diventa oppio dipendente. L’Occidente ha sfruttato il commercio dell’oppio.
Il
commercio dell’oppio venne proibito nel 1948. Era stato un commercio molto
fiorente, ci furono le famose guerre dell’oppio e i paesi coinvolti in questo
commercio furono non solo la Gran Bretagna e la Francia, ma anche gli Stati
Uniti: la compagnia Russell&Co. si arricchì con l’oppio, anche se gli
americani non se lo vogliono sentir dire. In origine si voleva comprare il tè,
ma la Cina non era interessata alle materie prime straniere e la Compagnia
delle Indie Orientali acquistava il tè
pagando in argento. Vendendo l’oppio potevano riprendersi l’argento,
quindi c’era un motivo economico. Era un commercio illegale su cui si fondarono
delle fortune. Ma non sono solo gli stranieri a dover essere biasimati per il
commercio dell’oppio, fa parte della cultura stessa cinese. Anche i signori
della guerra giapponesi sono coinvolti: negli anni ’20 i giapponesi hanno usato
l’oppio per indebolire i cinesi, gli eserciti hanno imposto ai contadini di
coltivare oppio invece di altri generi alimentari. Comunque non si possono
attribuire le colpe solo ad una parte, è stata una responsabilità comune.
recensione e intervista sono state pubblicate su www.stradanove.net
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