Voci da mondi diversi. Area germanica
la Storia nel romanzo
riletture
Joseph Roth, “La marcia di Radetzky”
Ed. Giunti, pagg. 480, Euro 6,59,
ebook Euro 1,49
“I Trotta erano un recente lignaggio”. Inizia così “La Marcia di Radetzky” di
Joseph Roth, uno di quei capolavori che non conoscono il passare del tempo,
anzi, che sembrano più belli quando noi, che invece sperimentiamo lo scorrere
del tempo, li rileggiamo a distanza di anni. Forse proprio perché siamo
cambiati, e marciamo nella direzione in cui va la storia dei Trotta, non più al
ritmo baldanzoso della marcia di Radetzky, la musica che echeggia trionfante in
tutta la prima parte del libro, ma tendendo
l’orecchio al rintocco lugubre delle campane che suonano per la morte
dell’Imperatore Francesco Giuseppe, per quella del sottoprefetto Francesco von
Trotta, per l’erede Francesco Ferdinando assassinato a Sarajevo, per i giovani
che stanno morendo in guerra (è il 1916), per tutti noi se pensiamo ai versi di
John Donne, non chiederti per chi suona
la campana, per un mondo che sta
scomparendo dietro la cortina di pioggia che pare cadere implacabile e
monotona, da un certo punto della narrazione in poi.
I Trotta erano, in origine, una famiglia di
contadini di Sepolje, in Slovenia. Poi, durante la battaglia di Solferino, nel
1859, il luogotenente di fanteria Trotta
aveva salvato il giovane imperatore, gettandosi su di lui e restando ferito
al suo posto. Era stato premiato con il titolo nobiliare e l’occhio benevolo di
Francesco Giuseppe non avrebbe mai perso di vista la famiglia von Trotta, anche
quando l’ormai anziano imperatore non riusciva più a ricordare perché mai i von
Trotta avessero l’impudenza di insistere per essere ricevuti da lui, perché
sembravano avere il diritto di aspettarsi qualcosa da lui. Aveva incominciato
il capostipite, l’eroe di Solferino, a chiedere un’udienza per lamentarsi di
come i testi scolastici di storia avessero travisato e distorto il suo famoso
atto di coraggio. Dopo di lui- che scompare presto dalla scena del romanzo-
sarà per il nipote di questi, Carlo
Giuseppe, che l’imperatore dovrà intervenire, coprendone i debiti perché
non venga intaccato l’onore dei von
Trotta, che è poi una sorta di lascito dello stesso imperatore.
Hofburg, Vienna |
La saga dei von Trotta, attraverso tre generazioni che coprono l’arco di vita
di Francesco Giuseppe, è l’epopea dell’Austria Felix, l’accompagna dal suo trionfo al suo declino, la
rispecchia nei suoi protagonisti. Si sottolinea spesso la somiglianza del sottoprefetto Francesco con l’imperatore,
somiglianza non solo fisica ma anche nel
suo essere tutto d’un pezzo, nel nascondere i sentimenti sotto l’aria burbera e
lo sguardo senza ombre (sappiamo quanti drammi privati dovette affrontare anche
l’apparentemente impassibile Francesco Giuseppe). Se Francesco von Trotta è
quasi un doppio dell’imperatore e rappresenta il fulgore dell’impero, Carlo Giuseppe è lo scivolare nell’obsoleto,
i suoi vizi- resta invischiato in questioni di donne, cede al bere, e poi al
gioco-, il distacco dalla realtà nell’autoesilio ai confini, le dimissioni
dall’esercito, sono segnali di cedimento.
Aumentano le indicazioni di grossi
rivolgimenti nella società (le prime proteste ‘dal basso’), prosegue il decadimento morale di Carlo Giuseppe
che culmina con l’ingente debito da pagare. Sono i due grandi vecchi a salvarlo: la scena del sottoprefetto che
rispolvera il frac nero dalle sfumature verdastre per l’usura per andare a Schönbrunn
a chiedere aiuto all’imperatore per suo figlio è tragica e grandiosa.
L’integrità dell’uno di fronte alla magnanimità dell’altro, il vecchio mondo dignitoso che si affaccia
sulle rovine.
Schönbrunn |
E poi la fine, le morti che si susseguono,
una dopo l’altra ad anticipare la fine dell’Impero e il sorgere dei
nazionalismi. Ed è straziante sentire il sottoprefetto Francesco comunicare la
morte del figlio a tutti quelli che incontra- “Mio figlio è morto!”, per ben sei volte nella stessa pagina-
perché è contro natura che un figlio muoia prima del padre, qualunque fosse la
sua vita e il suo comportamento. Il romanzo che era iniziato con una vita
salvata termina nel lutto e nel
cordoglio.
Chi lo ha letto molti anni fa (come me), lo
rilegga. Chi non lo conosce ancora, deve assolutamente leggerlo. La mia copia è
una vecchia edizione con traduzione di R. Poggioli del 1953. Mi è stato detto
che la nuova traduzione dell’edizione Adelphi è molto bella (se riuscite a
trovarla). L’edizione che ho indicato io è di puro riferimento.
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