Voci da mondi diversi. Oman
é stato appena pubblicato in italiano il romanzo "Corpi celesti" di Jokha Alharthi che avevo recensito nel 2019 dopo averlo letto in inglese. Ripubblico ora lo stesso articolo.
Jokha Alharthi, “Corpi celesti”
Ed. Bompiani, trad. G. Longhi, pagg. 264, Euro 18,00
Un romanzo scritto da una donna.
Un romanzo scritto da una donna araba. E dell’Oman.
Il romanzo che ha vinto il Man Booker Prize 2019.
Si intitola “Celestial bodies” ed è la prima scrittrice dell’Oman ad essere tradotta in inglese. Una saga famigliare che coinvolge tre generazioni spalancando una finestra su un mondo di cui sappiamo poco o nulla, invece di farcelo intravvedere attraverso le grate che nascondono la vita delle donne nei paesi arabi. Tre sorelle e il marito di una di queste al centro della narrazione, ma i personaggi sono molti di più- le intere famiglie di entrambe le parti, i mariti delle altre due sorelle, i figli, l’amante del padre delle sorelle, la schiava che è stata anche la donna di piacere dell’altro capofamiglia. I capitoli portano in primo piano i vari personaggi, mentre una voce narrante in terza persona ce ne racconta le vicende.
Soltanto uno di loro, Abdallah, marito di Mayya, parla in prima persona- è un caso che sia un uomo? Non credo. Non credo neppure che sia un caso che Abdallah sia un uomo amabile, innamorato non ricambiato dalla moglie, un padre dolce con la figlia London (è stato criticato da tutti perché non si è opposto alla scelta di questo nome da parte della moglie), angosciato dall’autismo del figlio minore, tormentato dagli incubi del ricordo di un padre duro- una scena in particolare gli affiora di continuo alla memoria, il terrore che aveva provato quando, per punizione, il padre lo aveva appeso a testa in giù nel pozzo.
Tra il villaggio di al-Awafi e Muskat, tra un passato fatto di vecchie
usanze, di leggi della Sharia (un’adultera viene fustigata), di matrimoni
combinati, di cure mediche che sanno di superstizione e non curano affatto
(quanti i bambini morti!), di gravidanze che non possono essere evitate, di
storie di schiavi prelevati in Africa e comprati per meno di quello che
costerebbe un sacco di riso (solo nel 1970 la schiavitù fu abolita in Oman), e
un presente in cui London studia medicina, guida un’automobile, si sposa con un
uomo il cui nonno era servitore della sua famiglia e poi divorzia, sua sorella
Khawla, dopo aver sposato l’uomo dei suoi sogni accettando che lui viva per lo
più in Canada dove ha un’altra donna, chiede il divorzio proprio quando il
marito è tornato da lei per sempre (perché la canadese lo ha mollato), mentre
la terza sorella segue la via della tradizione con l’uomo che il padre ha
scelto per lei e mette al mondo quattordici figli. Al-Awafi rappresenta la
tradizione (belli gli incontri appassionati del padre delle tre sorelle con la
beduina nel deserto, inquietante il mistero sulla morte della madre di Abdallah),
Muskat è lo scintillio del presente, nel tentativo di emulare Dubai o Abu Dabi.
E le storie si srotolano nel tempo come da una matassa ingarbugliata di
cui bisogna districare i fili. Una voce nuova per un romanzo appassionante.
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