Voci da mondi diversi. Africa
Ed. Guanda, trad. Silvia Piraccini, pagg.248, Euro 16,00
Non c’è dubbio su chi sia l’impostore, nel nuovo romanzo dello scrittore sudafricano Damon Galgut: il protagonista Adam Napier, un uomo sulla quarantina che vede sbriciolarsi la vita che ha condotto finora. Ha perso il posto di lavoro per le nuove politiche di pari opportunità del dopo-apartheid; ha perso pure la casa a Johannesburg, non potendo pagare le rate alla banca; si ritrova ospite del fratello a Città del Capo e accetta l’offerta di relegarsi a vivere in una casupola di questi, in un villaggio a otto ore dalla capitale. Da questo momento in poi, tutta la vita di Napier diventerà un’impostura, ad iniziare dalla sua stessa identità: dice di essere un poeta, che questo è quello che fa- scrivere poesie. E invece non è vero, pare che il fallimento della sua esistenza lo abbia portato ad una paralisi su tutti i fronti: incapace di scrivere, incapace di passare all’azione ed estirpare le erbacce che hanno invaso in maniera oscena il giardino di quella che è diventata la sua casa. Ma naturalmente la peggiore impostura sarà in seguito, dopo l’incontro casuale con Canning, suo compagno di scuola negli anni dell’infanzia. E ai danni di Canning. Eppure, mentre ci inoltriamo nella lettura, ci viene prima il sospetto, poi la certezza, che Napier non sia il solo impostore. Che non sia l’unico che abbia qualcosa da nascondere, che conduca due vite. E c’è ben altro in ballo che non una relazione adulterina di amore-sesso, dietro le falsità degli altri.
Ritorniamo all’inizio del romanzo, mentre Adam Napier segue con la sua auto quella del fratello verso la sua nuova abitazione, nel paesino di Karoo. Siamo nel mezzo del nulla, strada deserta, c’è uno svincolo, Adam rallenta ma non si ferma. Un poliziotto sbuca da dietro l’unico albero e gli fa la multa. Ma è assurdo! Bene: o paga mille rand di multa (più altri mille per la patente scaduta) o ne dà duecento in tasca al poliziotto e tanti saluti. Adam pagherà la multa. E’ un piccolo episodio importante che contiene in nuce la tematica del libro: una minaccia occulta, un personaggio che cela un’altra faccia dietro la sua identità ufficiale, la corruzione. Il romanzo di Damon Galgut pullula di personaggi che non sono solo quello che appaiono: il vicino di casa di Adam (perché mai teme che Adam sia stato mandato per ucciderlo?); il sindaco nero che insiste perché Adam ripulisca il giardino e seghi due alberi; l’altera e bellissima moglie di colore di Canning (faceva la puttana); l’enigmatico Genov e gli altri uomini di potere che si aggirano intorno a Canning (mafia russa?) e infine lo stesso Canning e l’intera sua proprietà dall’affascinante nome di Gondwana.
Ma chi è questo Canning che riaffiora dal passato di Adam? Perché Adam (l’impostore) solo alla fine gli dirà di non ricordarsi affatto di lui, mentre, a quanto pare, Adam ha avuto un’enorme importanza per Canning in quei tristi anni di collegio, quando Canning, sbeffeggiato di continuo dal padre, voleva morire per l’infelicità e Adam era il bersaglio dei compagni perché bagnava il letto. Quello che Canning fa di Gondwana- il Giardino dell’Eden voluto da suo padre-, lo scempio del paesaggio, il tradimento della natura, una trasformazione comprata con la corruzione, è la conseguenza delle parole di consolazione offerte da Adam un quarto di secolo prima, nei bagni della scuola: che bastava pazientare, mettere da parte lacrime e rabbia, e si sarebbero vendicati.
E’ un tema che sta molto a cuore a Damon Galgut, quello della menzogna e del tradimento. Erano presenti anche nel suo bellissimo libro precedente, “Il buon dottore”, e lo scrittore stesso ci aveva detto, quando lo avevamo incontrato a Roma, che sì, sperava che il lettore vedesse la metafora del tradimento personale per il tradimento politico. Perché l’atmosfera che pervade “L’impostore” è di scoramento e di delusione, di aspettative frustrate. Di inutilità del tutto. C’è la sensazione, come riflette Adam, alla fine, che “qualsiasi cosa gli sembrasse presente e importante un giorno sarebbe stata appena una vibrazione” nel futuro.
Un’osservazione sulla traduzione, per concludere: Canning (sempre chiamato con il cognome, come si fa a scuola) si rivolge ad Adam con il nomignolo che gli avevano appioppato i compagni, “Pannolino”, riferendosi alla sua enuresi notturna- in inglese ‘Nappy’. Se Nappy regge bene, perché è pure una trasformazione del cognome di Adam, Napier, l’italiano Pannolino, pur con lo stesso significato, è grottescamente assurdo: è incredibile che Adam lo tolleri sino alla fine, quando si decide a dire a Canning che non vuole essere chiamato così. Sarebbe stato meglio indicare in una nota la traduzione italiana, invece che quella inglese.
La recensione è stata pubblicata sul sito di Stradanove
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