Voci da mondi diversi. Africa
Ed. Marcos y Marcos, trad. F. Conte, pagg. 318, Euro
18,00
Costa d’Oro,
Africa, 1892. Fuggiamo. Le nostre mani si
attaccano l’una all’altra con la forza della colla. Le sue dita sono le mie; le
mie dita sono le sue……Una di noi inciampa. Il sudore scioglie la presa tra le
nostre mani.
Hassana
e Husseina, due gemelle di dieci anni in fuga. Il loro villaggio è stato
razziato e dato alle fiamme. I mercanti di schiavi le separano, si
incontreranno di nuovo soltanto sette anni dopo. Questa è la loro storia, la
storia che prosegue quella iniziata nel romanzo precedente della scrittrice
ghanese Ayesha Harruna Attah.
Due voci si alternano nei capitoli in cui leggiamo delle vicende dell’una e dell’altra, quella di Hassana parla in prima persona (infatti è lei la gemella dalla personalità trainante), quella di Husseina attraverso un narratore- è un espediente narrativo che ci aiuta a riconoscerle. Nella sfortuna, nella perdita di tutto, le due bambine sono fortunate. Perché la schiavitù è perseguita ed entrambe riusciranno a sottrarsi ai rapitori, saranno aiutate da persone generose che, in una sorta di scambio, vorrebbero convertirle alle loro idee- la religione cristiana per Hassana (rifiuterà sempre di essere battezzata) e il condomblé, un sincretismo religioso in cui Husseina finirà per credere profondamente.
Seguiamo le vicende delle due bambine, sempre consapevoli, entrambe, di essere ‘una metà’. Perché questo è il meraviglioso e stupefacente mistero della gemellarità, essere due in uno, avvertire con certezza che l’altra metà è da qualche parte, lontana ma presente, sognare i sogni l’una dell’altra, mandarsi messaggi a distanza nella lingua dei sogni. Eppure, forse, il destino aveva operato per il meglio, separando Hassana e Husseina. Le aveva lasciate libere di sviluppare ognuna la sua personalità. Perché Hassana era sempre stata la gemella dominante, la più estroversa e brillante- dopo tutto era quella che era nata per prima. Husseina era timida, dipendeva dalla sorella. Finché, ad un certo punto, a Husseina (che ormai ha cambiato nome in Vitoria) viene prospettato un altro punto di vista, un’altra spiegazione del legame della gemellarità. In realtà è lei, Husseina che, diventando Vitoria, è diventata anche un’altra persona, la più forte delle due. È vero che Hassana è nata per prima, ma è stata lei, Husseina, che ha spinto la sorella fuori dal ventre della madre, davanti a sé in esplorazione nel mondo, è lei che dà ordini.
Soltanto
diventando grandi lontane l’una dall’altra, le gemelle trovano la loro strada.
E noi le seguiremo- Hassana studierà, diventerà insegnante, Vitoria seguirà in
Brasile la donna che l’ha accolta, imparerà a cucire. Finché il destino si
ammanta di magia e una forza superiore le aiuterà a riunirsi.
Il finale del romanzo non è, però, né
banale né scontato. Non è un finale da ‘tutti vissero felici e contenti’.
Tutt’altro. Il rapporto tra le gemelle non riprende da dove si era interrotto.
Devono imparare a conoscersi, a rispettare le esigenze l’una dell’altra, a non
dare per scontata la loro unione.
“Il grande azzurro” ci porta in paesi
lontani, ci fa scoprire i legami tra Africa e Brasile, ci sorprende con i riti
del condomblé, ci fa assaggiare piatti esotici, soprattutto rimette in
discussione quello che pensavamo di sapere di altri luoghi, altra gente, altre
culture, rivelandoci in realtà tutto quello che non sapevamo affatto.
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