Casa Nostra. Qui Italia
legal thriller
cento sfumature di giallo
Giampaolo Simi, “I giorni del giudizio”
Ed.
Sellerio, pagg. 541, Euro 15,00
Alle 20,17 Esther Bonarrigo, quasi
quarantadue anni, pubblica una sua foto su Instagram.
Più o meno alla stessa ora Jacopo
Corti, trentun anni, pubblica su Facebook un selfie che lo ritrae insieme alla
fidanzata.
Quella stessa sera Esther e Jacopo
verranno assassinati.
Non vi ho anticipato nulla, è quello che si legge nel primo capitolo del romanzo “I giorni del giudizio” di Giampaolo Simi. E le prime notizie che apprendiamo, riguardo al delitto, ci arrivano dagli ospiti anziani di una casa di riposo non lontano dalla Falconaia, la splendida tenuta dei Bonarrigo. Bellissima introduzione al delitto- dicerie, voci, pettegolezzi, supposizioni (‘bella donna’, lei; ‘undici coltellate’, a lui, una sola a lei; lei non era del posto, veniva dalla Lombardia, no, dal Veneto; sono stati i soliti albanesi, tutti tagliagole; ma no, è il marito che ha scoperto lei con l’amante…), che ci giungono da una sorta di coro popolare. Proprio come sarà tutto il romanzo in cui i protagonisti sono i giudici popolari del processo in Corte d’Assise- la scena del delitto sarà quindi ‘rivisitata’ e interpretata da personaggi che non sono il solito investigatore.
Tutti conoscono i Bonarrigo, e non solo a Lucca, non solo in Italia.
Hanno una catena di ristoranti Italian
Food&More sparsi in mezzo mondo. C’è il vecchio capofamiglia e poi la
coppia di Daniel e Esther con due figli. Ricchi, belli, sembravano felici ma la
verità non si sa mai, visto com’è finita Esther. Jacopo Corti aveva lavorato al
restauro della Falconaia per un certo periodo, poi i Bonarrigo si erano rivolti
ad altri, Jacopo aveva perso il posto. La sera del delitto Esther era rimasta
sola, non stava bene, non si era unita agli altri che erano andati ad un
concerto. Daniel, però, non era tranquillo ed era tornato a casa. Per trovare
la moglie morta e Jacopo Corti ucciso con quattordici coltellate non nello stesso posto dove c’era il
corpo di Esther. Nessuna altra impronta tranne quelle di Daniel.
Un sorteggio ha deciso chi sarà chiamato a fare il giudice popolare- e sono le persone più diverse che si guardano con diffidenza, all’inizio, tutti più o meno recalcitranti. Perché proprio loro? Non hanno alcuna preparazione, riceveranno un’indennità esigua, saranno sotto gli occhi di tutti. Terenzio, ex infermiere che si fa subito conoscere perché polemizza su tutto. Iris, bibliotecaria femminista. Malcolm, con i capelli azzurri, recensore di videogiochi pieno di complessi. Ahmed, magazziniera di origine marocchina. Serena, lavoratrice precaria, senza alcuna fiducia in se stessa. Emma, la più snob, proprietaria di una boutique a Viareggio.
“I giorni del giudizio” è un legal thriller singolare che corre veloce
in un alternarsi di scene- in tribunale sentiamo la versione dei fatti nelle
parole dei testimoni e degli avvocati dell’accusa e della difesa (uno dei
testimoni muore ammazzato il giorno prima di presentarsi in tribunale, il
principale indiziato non si presenta mai, mentre uno dei figli fa un’accorata
difesa del padre, giudicando impossibile che questi abbia ucciso la madre per
gelosia), osserviamo i comportamenti dell’uno e dell’altro dei giudici
popolari, ascoltiamo i loro commenti, le loro riflessioni e anche le parole
bisbigliate al telefono in conversazioni che è meglio nessuno senta. Poi, fuori
del tribunale, abbiamo modo di conoscere meglio i sei giudici, la loro vita, i
loro trascorsi, le loro debolezze.
C’è un motivo se la dea della giustizia era spesso rappresentata
bendata- perché deve garantire imparzialità per tutti. Nel caso di Daniel Bonarrigo
gli interessi economici toccano troppe persone, per motivi vari ogni giudice è
corruttibile- i piatti della bilancia in mano alla dea possono perdere
l’equilibrio. La sentenza viene emessa, lascia molte ombre, non convince
nessuno. Chi ha letto con attenzione può prevedere il colpo di scena finale,
ma, questa volta, la giustizia proprio non vede nulla.
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