martedì 17 novembre 2020

Journal Kyaw Ma Ma Lay, “La sposa birmana” ed. 2020

                                              Voci da mondi diversi. Myanmar

         love story

Journal Kyaw Ma Ma Lay, “La sposa birmana”

Ed. ObarraO, trad. G. Valent, pagg. 240, Euro 16,00

 

   Nel giornale The Journal Kyaw che aveva fondato con il marito, Ma Ma Lay firmava i suoi articoli e racconti con il nome Journal Kyaw Ma Ma Lay- nata nel 1917 e morta nel 1982, fu una delle scrittrici più famose della Birmania (solo nel 1989 il paese cambiò nome e diventò Myanmar) e forse l’unica ad essere tradotta in altre lingue.

   “La sposa birmana” è il titolo del suo romanzo più noto appena ripubblicato dalla casa editrice ObarraO- in francese il titolo è “La mal aimée” e in inglese “Not out of hate”, che forse colgono meglio il significato della vicenda di cui la deliziosa e giovanissima Wai Wai è la protagonista. Perché Wai Wai si sposa per amore e, se il suo destino è drammaticamente infelice, non è perché il marito non la ricambia. Tutt’altro. U Saw Han la ama ‘male’, la fa soffrire non perché la odia ma perché la ama troppo, egoisticamente troppo.


    Wai Wai vive con il padre, un commerciante. Era una bambina quando la madre si era ritirata in un monastero per diventare monaca buddhista. La sorella maggiore ha sposato un medico e vive a Rangoon, l’odierna Yangon, pure il fratello è sposato ed è un attivista politico- è un thakin che si batte per l’indipendenza della Birmania dal giogo britannico (Aung San, padre del premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, prese parte al movimento dei thakin prima di fondare il Partito Comunista birmano). Sono dettagli importanti per capire perché “Una sposa birmana” non sia una banale storia d’amore di un banale romanzetto rosa.


    Quando U Saw Han incontra Wai Wai, è un colpo di fulmine per entrambi. Sono due mondi diversi che si attraggono. E alla diciassettenne Wai Wai quello a cui appartiene lui, funzionario di una compagnia inglese che ha adottato usi e costumi dei colonizzatori, sembra meraviglioso. Le piace tutto di lui- l’arredo occidentale della sua casa, il suo portamento e i suoi abiti, l’etichetta con cui viene servito il tè in casa sua dove ci si siede sulle sedie e si usano le posate, le piace perfino che non ci si debba levare le scarpe per entrare in casa. A lui piace la sua bellezza delicata, il suo candore di fanciulla, l’amore e la sollecitudine che ha per il padre.

    Succederà quello che deve succedere, quello che temevano il padre, la sorella e il fratello. Il rapporto tra U Saw Han e Wai Wai diventa come quello tra Gran Bretagna e Birmania- non può esserci un incontro ed uno scambio come tra pari, quando uno dei due prevarica e impone le sue scelte. Per il bene dell’altro- è così che sostiene il più forte, il vincente. Per la salute di Wai Wai, che potrebbe venire contagiata dal padre che ha la tubercolosi. Per esportare la civiltà in un paese arretrato- è la giustificazione dei ‘padroni’ inglesi (il movimento ribelle si appropria della parola thakin, padrone, per sottolineare che la Birmania è dei birmani).    


Se la coppia Wai Wai/U Saw Han (la farfalla sotto vetro e il suo carceriere) è al centro della trama con le limitazioni che lui gradualmente le impone, ci sono tuttavia gli altri personaggi, tutti con un ruolo importante, che ci fanno accantonare l’idea che questo sia un romanzo ‘per sole donne’. La politica entra nel libro con il fratello thakin di Wai Wai che è, sotto ogni aspetto, l’esatto contrario di U Saw Han; il buddhismo con la madre di Wai Wai (sospendiamo il giudizio su questa donna che può essere considerata egoista oppure un’anticipatrice del femminismo nel rivendicare il suo diritto ad una scelta di spiritualità); la medicina con il confronto tra il dottore ‘moderno’ a cui va la fiducia di U Saw Han e lo zio che propone cure naturali (è liquidato come un ciarlatano: la stessa Ma Ma Lay studiò medicina birmana per quindici anni ed aprì una clinica a Yangon). La coppia formata dalla sorella di Wai Wai e il marito, infine, sono l’esempio di quello che un matrimonio armonico dovrebbe essere, nel rispetto e nell’accrescimento reciproco, nell’amore che è generosità e non egoismo.

   C’è molto su cui riflettere in un romanzo che pone il quesito dell’identità personale e nazionale, scritto da una grande donna che visse anche l’esperienza del carcere dal 1963 al 1967 in quanto ‘nemico del popolo’ perché sospettata di simpatie comuniste.  

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