Voci da mondi diversi. Diaspora ebraica
Shoah
Santiago H. Amigorena, “Il ghetto interiore”Ed. Neri Pozza, trad. M. Botto,
pagg.138, Euro 17,00
Nell’aprile del 1928 Vicente Rosenberg arriva in Argentina dalla
Polonia. Il suo cognome dice tutto, come gli altri cognomi poetici che gli
ebrei sono stati costretti a prendere, al posto dei patronimici che avevano
sempre avuto.
Vicente è giovane, ben contento di essersi lasciato tutti i legami alle
spalle- la famiglia, la madre assillante con il suo affetto, Chelm dove aveva
passato l’infanzia, Varsavia dove si erano trasferiti, gli ebrei con i cappotti
neri, la lingua yiddish, la sua esperienza nell’esercito. Vicente è pronto a
tuffarsi nella vita di Buenos Aires- dapprima scrive lettere a casa, poi non
risponde neppure più alla madre che sollecita notizie. Vicente si innamora, si
sposa, ha tre bambini. Il padre della moglie Rosita lo aiuta ad aprire un
negozio di mobili.
Se gli venisse chiesto chi è, Vicente non avrebbe dubbi. È argentino, proprio come prima, quando era arruolato nell’esercito polacco, lui era un polacco. Che fosse anche ebreo, neppure gli passava per la mente. Che cosa ci fa definire chi siamo? Il paese dove viviamo? La comunità a cui apparteniamo? La lingua che parliamo? La religione che professiamo?
16 novembre 1940
È soltanto quando scoppia la guerra che Vicente si pone il problema
della sua identità. Che ripensa a sua madre. Che si rimprovera di non aver mai
insistito che lo raggiungesse in Argentina. Che riprende a scriverle,
attendendo notizie con un’ansia che lo divora. I giornali dall’Europa arrivano
con ritardo. Le lettere, poi, con ritardo ancora maggiore. Lettere che parlano
degli ebrei chiusi nel ghetto. Ammassati nel ghetto. Affamati nel ghetto.
L’idea che sua madre abbia fame e freddo sconvolge Vicente. Non lo lascia
dormire. Ha il sogno ricorrente di un muro che lo rinserra.
Vicente si chiude in un mutismo che lo isola da tutti. Non parla più con Rosita, non fa una carezza ai bambini. Ha preso a giocare d’azzardo. E a perdere al gioco. Come volesse distruggersi. Riprende vita quando si viene a sapere della rivolta nel ghetto. È possibile che…? Sarà ancora viva sua madre? La speranza si spegne presto.
la rivolta del ghetto di Varsavia
Mentre in Europa si muore in base alla legge che è ebreo chi ha almeno
tre nonni di ascendenza ebraica, Vicente si vergogna di aver ammirato i
tedeschi, di aver servito nell’esercito polacco, e la risposta al quesito sulla
sua identità non conosce dubbi. Ritorna ad essere il Wincenty figlio di sua
madre, ebreo. E se è un traditore, se ha abbandonato la famiglia in Polonia
senza girarsi indietro, se non condivide con loro l’esiguo spazio del ghetto,
lui, però, il ghetto se lo porta dentro, è quel muro che lo soffoca negli
incubi, che diventa la sua pelle. È stato questo il maggior crimine dei
nazisti, arrogarsi il diritto di definire chi uno sia privandolo di ogni libertà. Anche di quella di vivere.
Santiago Amigorena, sceneggiatore, produttore cinematografico, regista,
attore e scrittore argentino che attualmente vive in Francia, ci racconta la
storia dei suoi nonni- Mi piace pensare
che Vicente e Rosita vivono in me, e che vivranno sempre quando io stesso non
vivrò più- che vivranno nel ricordo dei miei figli che non li hanno mai
conosciuti, e in queste parole…
amo molto le storie argentine.
RispondiEliminaTi ringrazio per questa segnalazione!
grazie a te!
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