venerdì 13 novembre 2020

Santiago H. Amigorena, “Il ghetto interiore” ed. 2020

                                                  Voci da mondi diversi. Diaspora ebraica

               Shoah

Santiago H. Amigorena, “Il ghetto interiore”

Ed. Neri Pozza, trad. M. Botto, pagg.138, Euro 17,00

 

   Nell’aprile del 1928 Vicente Rosenberg arriva in Argentina dalla Polonia. Il suo cognome dice tutto, come gli altri cognomi poetici che gli ebrei sono stati costretti a prendere, al posto dei patronimici che avevano sempre avuto.

    Vicente è giovane, ben contento di essersi lasciato tutti i legami alle spalle- la famiglia, la madre assillante con il suo affetto, Chelm dove aveva passato l’infanzia, Varsavia dove si erano trasferiti, gli ebrei con i cappotti neri, la lingua yiddish, la sua esperienza nell’esercito. Vicente è pronto a tuffarsi nella vita di Buenos Aires- dapprima scrive lettere a casa, poi non risponde neppure più alla madre che sollecita notizie. Vicente si innamora, si sposa, ha tre bambini. Il padre della moglie Rosita lo aiuta ad aprire un negozio di mobili.

    Se gli venisse chiesto chi è, Vicente non avrebbe dubbi. È argentino, proprio come prima, quando era arruolato nell’esercito polacco, lui era un polacco. Che fosse anche ebreo, neppure gli passava per la mente. Che cosa ci fa definire chi siamo? Il paese dove viviamo? La comunità a cui apparteniamo? La lingua che parliamo? La religione che professiamo?

                                           16 novembre 1940

    È soltanto quando scoppia la guerra che Vicente si pone il problema della sua identità. Che ripensa a sua madre. Che si rimprovera di non aver mai insistito che lo raggiungesse in Argentina. Che riprende a scriverle, attendendo notizie con un’ansia che lo divora. I giornali dall’Europa arrivano con ritardo. Le lettere, poi, con ritardo ancora maggiore. Lettere che parlano degli ebrei chiusi nel ghetto. Ammassati nel ghetto. Affamati nel ghetto. L’idea che sua madre abbia fame e freddo sconvolge Vicente. Non lo lascia dormire. Ha il sogno ricorrente di un muro che lo rinserra.

    Vicente si chiude in un mutismo che lo isola da tutti. Non parla più con Rosita, non fa una carezza ai bambini. Ha preso a giocare d’azzardo. E a perdere al gioco. Come volesse distruggersi. Riprende vita quando si viene a sapere della rivolta nel ghetto. È possibile che…? Sarà ancora viva sua madre? La speranza si spegne presto.

                                              la rivolta del ghetto di Varsavia

    Mentre in Europa si muore in base alla legge che è ebreo chi ha almeno tre nonni di ascendenza ebraica, Vicente si vergogna di aver ammirato i tedeschi, di aver servito nell’esercito polacco, e la risposta al quesito sulla sua identità non conosce dubbi. Ritorna ad essere il Wincenty figlio di sua madre, ebreo. E se è un traditore, se ha abbandonato la famiglia in Polonia senza girarsi indietro, se non condivide con loro l’esiguo spazio del ghetto, lui, però, il ghetto se lo porta dentro, è quel muro che lo soffoca negli incubi, che diventa la sua pelle. È stato questo il maggior crimine dei nazisti, arrogarsi il diritto di definire chi uno sia privandolo di ogni libertà. Anche di quella di vivere.

      Santiago Amigorena, sceneggiatore, produttore cinematografico, regista, attore e scrittore argentino che attualmente vive in Francia, ci racconta la storia dei suoi nonni- Mi piace pensare che Vicente e Rosita vivono in me, e che vivranno sempre quando io stesso non vivrò più- che vivranno nel ricordo dei miei figli che non li hanno mai conosciuti, e in queste parole…

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Domani, sabato 14 novembre, Santiago Amigorena sarà ospite all'evento di Bookcity "Il ghetto interiore tra parole e silenzio", alle ore 15,30 sul profilo fb Neri Pozza. 



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