Voci da mondi diversi. Francia
love story
premio Goncourt
Jean-Baptiste Andrea, “Vegliare su di lei”
Ed.
La Nave di Teseo, trad. Simona Mambrini, pagg. 480, Euro 22,00
Francia. Primi anni del ‘900. Una famiglia
di immigrati italiani. Lui fa lo scultore. Quando nasce un bambino, il nome
pare ovvio. Si chiamerà Michelangelo. Un paradosso: il nome di un ‘grande’ per
un bambino affetto da nanismo. Eppure Michelangelo, chiamato Mimo, diventerà
anche lui un grande scultore, ricercato dai ricchi (anche dal Papa) che
vorranno potergli commissionare statue celebrative.
Muore il padre in guerra, la madre non
riesce a tirare avanti e manda Mimo in Italia, da uno ‘zio’ che in realtà non è
suo zio, un altro scultore che ama più il vino che la pietra da scolpire. Eppure,
di nascosto, incorrendo nelle sue ire, Mimo inizia ad usare lo scalpello. E
quello che fa è sorprendente.
All’inizio del romanzo Mimo sta morendo. Da anni si è ritirato in un monastero, senza però prendere i voti. La sua storia, quindi è un ritorno al passato, ad una lunga vita trascorsa tra eccessi, guardando le stelle e rotolandosi nel fango. A Pietra d’Alba, dove Mimo vive in una sorta di sudditanza allo zio, vive anche una ricca famiglia nobile- sono gli Orsini. Hanno quattro figli, gli Orsini- il primogenito muore in guerra, il secondo sarà un fedele del Duce, il terzo entra nella Chiesa e il quarto, il quarto è l’unica femmina, Viola. E sarà il grande amore di Mimo.
Si incontrano quando hanno tredici anni,
Mimo e Viola. Si continueranno a incontrare di nascosto nel cimitero, luogo
dove nessuno verrà mai a cercarli. Hanno
entrambi un sogno- lui di diventare un grande scultore, lei di volare. Viola
vuole costruirsi delle ali per volare, come ha visto nei disegni delle macchine
di Leonardo. E Mimo la asseconda. La prima grande statua che Mimo scolpisce è
un regalo per lei, è un Orso che esce con impeto dal blocco di marmo. Per i più
è un riferimento allo stemma della casata, per loro due è l’orso che Viola ha
addomesticato e che ha fatto nascere la leggenda che lei sia capace di
trasformarsi in un orso.
E poi…Viola prova sul serio a volare e
l’esito è prevedibile, Viola scompare dalla vista di tutti, Mimo ne chiede
invano notizie. Finché viene a sapere che si sposa. Lui non è più il ragazzino
ingenuo che è arrivato a Pietra d’Alba. Ha lavorato in un circo, interpretando
un ruolo per cui si disprezza, beve (tanto, come lo ‘zio’ che disprezzava), ha
frequentazioni poco raccomandabili. Ma deve avere un angelo custode (Viola? Il
fratello sacerdote di Viola?) che lo tira fuori dalla sozzura e dall’ignominia.
Diventerà veramente un acclamato scultore finché la pietra non gli dirà più
niente, finché sarà come cieco, non vedrà più la bellezza nascosta.
Il tempo è passato, dapprima ci sono state le avvisaglie, poi l’avvento del Duce è diventato realtà. Viola, lo spirito libero, la donna anticonvenzionale che ama la libertà, è acerrima nemica del fascismo. Mimo non sa resistere, è un opportunista. Fino ad un certo punto.
Quasi un secolo di Storia d’Italia fa da
sfondo a questa storia d’amore fuori dagli schemi, una storia che è un inno
alla libertà, alla ricerca della bellezza anche dove è nascosta, all’arte che è
la sublimazione dello spirito nella materia. Se anni prima l’Orso in qualche maniera
raffigurava Viola, l’ultima creazione di Mimo è una Pietà che solo ad una
occhiata superficiale può sembrare simile alla Pietà del Buonarroti. C’è Viola
in quella Pietà, c’è lo strazio di Viola morente in quella statua. Tutti la
cercano nel viso della Madonna, ma dovrebbero guardare meglio, perché non è
solo Maria che soffre nella Pietà di Mimo Vitaliani.
“Vegliare su di lei” ha vinto il premio
Goncourt 2023 ed è un affresco così ricco di personaggi ordinari e
straordinari, realmente esistiti e inventati, di vicende normali o con qualcosa
di fantastico, di episodi reali (il massacro di immigrati italiani ad
Aigues-Mortes, in Francia, nel 1893 e la deportazione degli ebrei) e altri
fittizi, che è impossibile darne un’idea precisa. Leggetelo e aggiungiamo Mimo
ai ‘nani’ o altri personaggi deformi famosi della letteratura, a Oskar del
“Tamburo di latta” di Grass e a Quasimodo de “Il gobbo di Nôtre Dame”.
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