Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
Elizabeth Strout, “Oh William”
Ed.
Einaudi, trad. Susanna Basso, pagg. 184, Euro 18,00
Una voce indimenticabile, quella di Lucy
Barton. La ricordiamo nel letto di ospedale, quando affrontava i ricordi del
suo passato, con la madre seduta accanto a lei. Una madre che non l’aveva amata
e di cui lei cercava l’affetto. E’ ancora lei che parla, con il suo tono un
poco sognante, con tutti i suoi dubbi e le sue incertezze, con il dolore
bruciante per la morte del secondo marito, David, con l’affetto che la lega
alle figlie (ormai entrambe sposate) e quello per il primo marito, William,
l’unico con cui le sembrava di aver condiviso una ‘casa’.
Se c’è una trama nel romanzo, è esilissima. Forse è la scoperta, da parte di William ormai ultrasettantenne, che sua madre aveva avuto una figlia prima di lui e che l’aveva abbandonata- bambina di un anno- per raggiungere quello che sarebbe poi diventato il padre di William. E allora c’è un viaggio in cui William chiede a Lucy di accompagnarlo, da New York al Maine, in cerca della sorella. Il tema del viaggio, la costante dei romanzi di formazione, è qui completamente capovolto. Non è un viaggio verso il futuro, ma verso il passato, non è un viaggio di crescita ma ugualmente un viaggio di esplorazione di sé che sradica quelli che erano i punti fermi dei loro rapporti con la madre di William.
È difficile dire come Elizabeth Strout riesca a far sentire Lucy come una di noi, come una donna in cui possiamo riconoscerci, al di là delle sue esperienze personali. Forse è il modo in cui espone queste sue esperienze, il tono pacato, le frasi corte come se pesasse le parole che deve dire, per farsi capire. E non racconta con ordine- un momento del presente fa affiorare alla sua mente un ricordo che lei rivive, e poi c’è come una giustapposizione di immagini, lei adesso che si stupisce sempre quando la riconoscono come la scrittrice e la ragazza che è partita per il college con due stracci in sacchetti di plastica, le figlie che incontra da Bloomingsdale’s come fossero delle amiche e le due bambine che hanno sofferto per la separazione dei genitori, lei che va alle isole Cayman e lei nella catapecchia in cui è cresciuta, la suocera Catherine che di lei diceva ‘oh, Lucy viene dal nulla’ e che era venuta lei stessa dal nulla (come scoprono ora). E William. L’amore per William (perché si è innamorata di lui?) e i suoi tradimenti. L’amore per il secondo marito che non intacca il legame profondo di amicizia che serba ancora per William. C’è una intesa con William, una comprensione che va al di là di un contratto matrimoniale. E da quella esclamazione, ‘Oh, William!’, che punteggia tutta la narrazione, traspare un migliaio di sfumature. Affetto che ha ancora il colore dell’amore di un tempo, simpatia, comprensione, un velo di irritazione, compassione. Oh, William, compagno di una vita anche se non è più una vita insieme.
Un capitolo a sé, intrigante e non esplorato
a fondo, è la storia del padre di William, il prigioniero di guerra tedesco che
era stato mandato a lavorare nei campi del coltivatore di patate e che era
stato il primo marito di Catherine, la madre di William. Come ha influito su
William questo retaggio famigliare? La visita ai campi di concentramento lo
aveva sconvolto. Eppure anche queste vicende fanno parte del complesso
groviglio di quei rapporti che hanno formato William e Lucy- complesso, sì, ma
sempre rivisto e rivissuto con una serena accettazione.
“Ti ho sposato perché eri piena di gioia di
vivere”, dice William a Lucy. “Tu rubi il cuore alla gente”. In queste parole è
contenuto il messaggio del libro- non importa da dove vieni, puoi venire dal
nulla ma puoi ugualmente combattere quel nulla e costruirti in maniera diversa.
Elizabeth
Strout ha la capacità di spruzzare polvere dorata su frasi che di per sé sono
banali. Ci insegna a vedere in maniera diversa, come faceva il poeta Wordsworth
che si proponeva, nella sua poesia, di dare un certo che di incantesimo alle
cose di ogni giorno, di risvegliare il lettore dal letargo dell’abitudine, di
colorare il quotidiano con l’immaginazione.
La
prosa di Elizabeth Strout è poesia, in un libro bellissimo che fa pensare.
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