vento del Nord
Henning Mankell, “L’uomo della dinamite”
Ed.
Marsilio, trad. A. Albertari e A. Scali, pagg. 172, Euro 16,00
Perché la storia dell’uomo della dinamite è una storia emblematica e non è un caso che Mankell l’abbia scelta per raccontarcela. Il Mankell giovane che sentiamo partecipe della sorte dell’operaio Oskar Johansson è lo stesso Mankell desideroso di giustizia sociale che abbiamo conosciuto con il personaggio mitico di Wallander, il protagonista dei romanzi scritti più tardi con una scelta di genere che poteva raggiungere un pubblico più vasto di lettori. E in questa luce, dopo aver letto le vicende di Oskar, comprendiamo anche quanto sia stato adeguato affidare ad un commissario di polizia, che nell’immaginario rappresenta ‘la legge’, il suo messaggio di giustizia e uguaglianza.
Nel 1911 il giovane Oskar Johansson rimane
vittima di un grave incidente durante i lavori di perforazione di una montagna
per la creazione di una galleria ferroviaria. Lo davano per morto e invece era
sopravvissuto. Aveva perso un occhio e una mano, aveva subito un’infinità di
interventi ricostruttivi e aveva perso anche la fidanzatina. Eppure Oskar aveva
ripreso a lavorare come brillatore, ormai era una figura leggendaria.
Leggiamo il racconto della vita di Oskar Johansson, parte in terza persona, parte filtrato da un ascoltatore/narratore che lo conosce quando Oskar è ormai anziano e vive in solitudine su un’isoletta dell’arcipelago- il suo interesse per il socialismo e la reazione del padre che lo aveva cacciato di casa, la ragazza incontrata ad una manifestazione e che, guarda caso, era la sorella della sua ex fidanzata (sarebbe stato un matrimonio felice, con la nascita di due figli), il lavoro e l’inizio delle rivendicazioni operaie, l’acquisto della casetta di legno sull’isola, il bisogno di solitudine, il declino della salute già gravemente compromessa.
C’è una riflessione costante che accompagna
tutta la narrazione, quella sulla sorte comune dei lavoratori- e Oskar vede se
stesso come una copia di prolungamento degli uomini della sua famiglia, padre,
nonno, bisnonno. Eppure qualcosa deve cambiare. Oskar non è un rivoluzionario.
Che strano, che sorte paradossale. Un uomo che ha lavorato come brillatore, che
ha sempre maneggiato la dinamite, usa l’esplosivo soltanto per raffigurare
quello che si auspica, quello che ci vorrebbe per cambiare una società in cui
un uomo può diventare uno storpio come lui e non essere protetto da alcuna
garanzia assicurativa. “Un bel botto di dinamite, e tanti saluti a tutti.”
Che cosa leggiamo in queste parole? Più
scoraggiamento che speranza, perché, “Dove diavolo è andato a finire il
socialismo? Allora si camminava tutti insieme. Volevamo cambiare le cose, per
noi stessi e per gli altri.”
Sono passati cinque anni da quando Henning Mankell ci ha lasciato. La sua voce, però, si fa sentire ancora, ed è un poco straniante. Sembra che venga dall’aldilà eppure è vicinissima a noi perché ci parla di un problema sempre attuale. E dobbiamo confermare la nostra ammirazione per un grande scrittore, capace di anticipare, in questo libro della giovinezza, la tematica dei romanzi che avrebbe scritto in futuro, con una costanza di pensiero, di ideali, di intenti, con una semplicità di stile che si adatta perfettamente all’uomo semplice che era Oskar Johansson.
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la recensione sarà pubblicata su www.stradanove.it
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