Voci da mondi diversi. America Latina
la Storia nel romanzo
love story
Isabel Allende, “Lungo petalo di mare”
Ed. Feltrinelli, trad. E. Liverani,
pagg. 352, Euro 19,50
Cinquant’anni più tardi, quando fu
intervistato in televisione per raccontare l’odissea del suo esilio, Victor
Dalmau avrebbe parlato del Winnipeg come della nave della speranza.
Victor Dalmau avrebbe dato il nome del Winnipeg al locale che avrebbe
aperto a Santiago, anni dopo. Il Winnipeg- la nave con cui il poeta Pablo
Neruda aveva organizzato una grandiosa impresa umanitaria- era stato la
salvezza, trasportando in Cile gli spagnoli in fuga dal regime di Franco, alla
fine della guerra civile. E, nel nuovo romanzo di Isabel Allende, “Lungo petalo
di mare” (titolo che deriva dai versi carichi di nostalgia di Pablo Neruda, “Oh Chile, largo pétalo/ de mar y vino y
nieve/ ay cuàndo/ ay cuàndo y cuàndo/ ay cuàndo/ me encontraré contigo”) il
lungo viaggio sulla nave della speranza segna una cesura tra la prima e la
seconda parte, tra una guerra fratricida e, dopo poco più di un trentennio,
un’altra terribile prova per i due protagonisti, quasi vivessero una seconda
volta le stesse esperienze dall’altra parte del mondo, costretti a strappare di
nuovo le radici dalla terra che ormai avevano imparato a considerare come una seconda
patria per rifugiarsi in Venezuela.
Le vicende di Victor Dalmau e di Roser Bruguera hanno qualcosa di epico,
parrebbe addirittura impossibile che siano passati attraverso tanta Storia di
due continenti. L’inizio è in Spagna, nel 1938, nel pieno della guerra civile.
Madrid è assediata, i miliziani sono allo stremo. Quando è chiaro che tutto è
perduto, chi può fugge verso la Francia. E la giovanissima Roser, incinta del
fratello di Victor senza averlo potuto sposare e senza sapere che lui è morto,
affronta la fatica e il freddo per arrampicarsi sulle montagne e passare il
confine in un punto dove ci siano meno controlli. Le peripezie in Francia, il
campo di concentramento all’aperto sulla spiaggia, il modo miracoloso in cui
Victor riesce a ritrovarla, la nascita di un bimbo sano, la necessità di Victor
e Roser di sposarsi per poter avere diritto ad un passaggio sul Winnipeg, hanno
dell’incredibile. Eppure sappiamo che sono vere, perché Isabel Allende ha
‘creato’ i suoi personaggi sul racconto di persone che hanno vissuto queste
esperienze.
Il matrimonio di Victor e Roser si basa sull’accordo che lui non esigerà
mai nulla da lei. Non è difficile per loro ricostruirsi una vita. Victor
termina gli studi di medicina, Roser diventa un’affermata pianista. Tutto per
il meglio, fino al 1973, l’anno del golpe di Pinochet. Un’altra prigionia per
Victor che era stato compagno di scacchi di Salvador Allende, la morte violenta
di Allende e quella improvvisa e sospetta di Pablo Neruda, un’altra fuga,
questa volta in Venezuela. Ma la storia di Victor e Roser non termina qui. C’è
altro ancora, perché Franco muore finalmente nel 1975- è ancora la patria, la
Spagna, per Victor e Roser? O dovrebbe esserlo e si sentono obbligati a
tornare? Per non riconoscerla, per non riconoscersi in lei, per tornare
definitivamente in Cile, per scoprire che l’amore non conta gli anni, che le
distrazioni che Victor e Roser si sono presi con gli altri non hanno nessuna
importanza, che le mani di Victor operano da sole anche se lui non è più
giovane, che l’orchestra di strumenti antichi di Roser continua a mietere
successi.
Non vola alto, quest’ultimo romanzo di Isabel Allende. Non ci ammalia
come i libri che l’hanno resa famosa. Eppure lo leggiamo con grande interesse
per la Storia che ci racconta, per le storie dei personaggi che hanno vissuto
quella Storia e che non possiamo non ammirare per la loro integrità, per il
loro coraggio, per quella forza vitale che li spinge a non lasciarsi abbattere.
E perché è anche un grande romanzo d’amore, dell’amore più ovvio fra un uomo e
una donna, ma anche di quello per il proprio paese- e qui i paesi sono due, la
Spagna e il Cile, la patria per nascita e la patria di adozione.
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la recensione sarà pubblicata su www.stradanove.it
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