Voci da mondi diversi. Diaspora ebraica
Chaim Grade, “La moglie del rabbino”
Ed. Giuntina, trad. Anna Linda
Callow, pagg. 212, Euro 18,00
Il rabbino di Graypeve e sua
moglie erano ormai in età avanzata. I loro figli, già tutti sposati, vivevano a
Horodne.
Due cittadine, nel mondo scomparso
della yiddishland. Due coppie, quella del Rabbi Uri Zvi e la moglie Perele (di
Graypeve) e quella di Rabbi Moshe Mordechai e Sara Rivka (di Horodne). Uri Zvi
ha un ruolo di minor prestigio di Moshe Mordechai- quest’ultimo è il Rabbi
della Sinagoga di una città più importante di Graypeve, è un dotto di gran
fama, ha scritto parecchi libri, lo chiamano addirittura ‘il papa degli ebrei’.
MA è infelice nella vita privata- ha avuto una sola figlia che è morta, la
moglie non trova consolazione. Uri Zvi e Perele hanno tre figli e anche
nipotini che abitano tutti a Horodne. Un dettaglio importantissimo: Moshe
Mordechai è stato fidanzato con Perele, ma l’ha lasciata prima delle nozze. In
famiglia aveva detto chiaramente il perché: Perele ‘era malvagia’.
Quanto Perele sia malvagia (o, per lo meno, ‘difficile’) ce lo racconta
Chaim Grade, di Vilna, uno dei più grandi scrittori yiddish del XX secolo, a
prova che il grande rabbino Moshe Mordechai aveva veramente un intuito speciale
per capire le persone che si avvicinavano a lui. Dopo che Perele ha svolto il
suo compito di madre (la figlia è in eterno dissidio con lei, i figli sono
ossequiosi), ha il tempo per ascoltare le chiacchiere e, quando le giunge voce
della stima di cui è circondato il suo ex fidanzato, non ha più pace. E non
lascia in pace il povero marito. Devono assolutamente andare a vivere a
Horodne- perché mai Rabbi Uri Zvi dovrebbe lasciare un incarico sicuro? Ma per
raggiungere i figli, per prendersi cura dei nipotini, è ovvio. Perele ha lo
sguardo lungo, è chiaro che ha in mente altro, una scalata religiosa e sociale
che porterà lei e il marito allo stesso livello di Moshe Mordechai e Sara
Rivka. Un passo dopo l’altro, che noi seguiamo tra il riso e lo sdegno,
schiacciando qualunque obiezione possa fare il mite Uri Zvi, senza curarsi di
ferire i sentimenti di Moshe Mordechai, di Sara Rivka, dei suoi stessi figli,
Perele ottiene quello che vuole. Con conseguenze che forse non avrebbe voluto
neppure lei.
Sinagoga di Horodne |
C’è una grande tradizione letteraria dietro a personaggi come Perele.
Per il suo arrivismo, la sua mente acuta e la battuta pronta ci fa pensare a
Becky Sharp della “Fiera della Vanità” (anche Perele, tutto sommato, ambisce ad
un mondo di vanità). E poi pensiamo alla Caterina de “La bisbetica domata”, a
donne simili nelle commedie di Goldoni o di Molière, tutte contrapposte ad una
sorella gentile e dolce, proprio come Perele è l’opposto di Sara Rivka che le
porge l’altra guancia. E tuttavia è il contesto storico e logistico che rende
così originale e interessante il romanzo di Chaim Grade. Perché, mentre su un
piano personale assistiamo allo scontro tra le due coppie, su un altro piano
leggiamo dell’opposizione tra la Agudà (la fazione ultraortodossa della vita
comunitaria ebraica, contraria al sionismo) e la Mizrahi (l’ala religiosa
ortodossa del movimento sionista). Va da sé che i due rabbini divengano- forse
loro malgrado, ma certamente sospinti dalle manovre di Perele- gli esponenti
delle due posizioni, aggiungendo quindi un motivo in più di contrasto che
sfocia in un malessere generale, in una continua e sotterranea discordia nella
tranquilla (un tempo, prima dell’arrivo di Perele) comunità di Horodne.
Un libro pungente e amaramente divertente. Perché- al di là del
contesto- il personaggio di Perele, così odiosa ma anche così ammirevole nella
sua determinatezza, è senza luogo e senza tempo.
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