Voci da mondi diversi. Asia
il libro ritrovato
Madeleine Thien,
“L’eco delle città vuote”
Ed. 66thand2nd, pagg. 230, Euro 16,00
Titolo originale: Dogs
at the Perimeter
E’ un’abitudine che ormai fa parte di me,
quella di soffermarmi su un titolo, prima di iniziare la lettura di un libro.
Per ascoltare quello che vuole dirmi, per fare attenzione alle immagini che
evoca nella mia mente, per avere un’anticipazione della storia, per entrare
nella giusta atmosfera. “L’eco delle città vuote”: qual è l’eco del silenzio?
Può essere assordante, può riempirsi di voci delle ombre che percorrono strade
vuote alla ricerca di altre ombre, seguendo itinerari del passato. Suscita
angoscia, l’eco delle città vuote, ci martella con la domanda senza risposta-
dove sono finiti tutti quanti? Se il silenzio potesse parlare…
Il romanzo di Madeleine Thien è un libro sullo scomparire, sulla Storia
che cancella vite umane con un colpo di spugna, come avviene nello splendido
romanzo di Daniel Mendelsohn, “Gli scomparsi”. Gli ebrei della yiddishland
durante le seconda guerra mondiale nel libro di Mendelsohn, i cambogiani negli
anni ‘70 in quella tremenda guerra civile che si pensava finisse il 17 aprile
1975 quando i khmer rossi costrinsero alla resa le truppe governative per dare
inizio, invece, ad una serie di incredibili violenze. Phnom Penh è la città
dove romba il silenzio- per tutte le città che hanno perso la voce.
Ho proseguito come se stessimo di nuovo lasciando la città, in quell’esodo che aveva avuto un inizio ma non una fine. Camminavo e accanto a me vedevo la folla. La gente si era portata dietro le cose che custodiva più gelosamente, un macchinista aveva con sé i suoi attrezzi, il droghiere spingeva un carretto di provviste, mio padre portava libri. Nella borsa di mia madre c’erano album di fotografie, i nostri vestiti, i nostri giocattoli. Tutte cose che in seguito sono state abbandonate una dopo l’altra sul ciglio della strada.
La bambina che era scampata al duro lavoro del campo, che non era
affogata durante la fuga in barca perché suo fratello le aveva legato un polso
ad un pezzo di legno, si chiama Janie nella nuova vita con la famiglia adottiva
in Canada ed è ormai sulla quarantina all’inizio del romanzo. Ha studiato
Elettrofisiologia, si è sposata, ha un bambino. Tutto sotto controllo. O almeno
così pare. Un giorno dimentica di andare a prendere il bambino all’asilo. Un
giorno alza la mano su di lui. Il passato è tornato di prepotenza nella sua
mente, con il ricordo dei genitori, del fratello, della vita ‘prima’ del 17
aprile e ‘dopo’- la scomparsa del padre, la marcia estenuante attraverso le
campagne sperando in un futuro luminoso che era invece un inganno. Tanto più
che, nella sua vita di adesso, è scomparsa un’altra persona vicino a lei- un
amico giapponese che studiava il cervello e i meccanismi della memoria. Hiroji
Matsui è andato a cercare il fratello maggiore di cui non ha più notizie dal
1975: quattro anni prima era partito con la Croce Rossa per portare soccorsi in
Cambogia.
E’ come se ogni personaggio fosse alla ricerca di uno scomparso: Janie
segue le orme della sua famiglia, rivivendo per noi la crudele realtà del
regime dei khmer rossi, con fame, malattie e morte sempre in agguato, mentre
Hiroji calpesta quelle del fratello, finito ad esercitare la medicina senza
strumenti e senza medicine. Quali trasformazioni subiscono un uomo, una donna,
un bambino, quando sono a contatto quotidiano con la violenza, quando la morte
diventa un’abitudine e salvare la propria, di vita, diventa una priorità
assoluta? E’ scomparsa anche l’innocenza del bambino costretto a fare
interrogatori, per non dire di quello che imbraccia un fucile. E’ scomparsa una
parte di Janie, quella che si chiamava Mei, che aveva un padre che faceva il
traduttore. Quando si è perso tutto, quando si striscia nel buio verso una
salvezza incerta, nelle caverne che trapassano le montagne che fanno da confine
tra Cambogia e Thailandia- quale brandello del vecchio sé può restare in due
bambini di undici e nove anni? Ed è possibile superare certi traumi, o restano
dormienti sotto la superficie di una stabilità riacquistata per poi esplodere
quando qualcosa scalfisce la patina che li ricopre?
C’è qualcos’altro ancora che Madeleine Thien vuole dirci con i suoi
personaggi cambogiani e giapponesi. Janie ha il ruolo di protagonista nel
romanzo, con una Cambogia bella e dilaniata sullo sfondo, ma, mentre il suo
fratellino è veramente scomparso per sempre- e lei ne sente la colpa-, il
fratello di Hiroji è scomparso di sua volontà e verrà ritrovato: la storia che
ha alle spalle parla di altre tragedie di guerra e di altre scomparse, perché
James Matsui (si chiamava Ichiro, in un altro tempo e in un’altra vita) ricorda
la bomba atomica che ha messo fine alla guerra in Giappone, facendo scomparire
altre migliaia e migliaia di persone.
Un libro molto bello nell’angoscia che comunica. Ci parla di un paese
lontano, ma, non chiedere per chi suona
la campana, suona per te: è un dramma che ci riguarda tutti, se non
vogliamo che scompaia la nostra umanità.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
La scrittrice Madeleine Thien
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