Voci da mondi diversi. Francia
romanzo autobiografico
Shoah
Anne Berest, “La cartolina”
Ed.
e/o, trad. A. Bracci Testasecca, pagg. 456, Euro 19,00
Era il 2003 quando Léila, la madre di
Anne- scrittrice e voce narrante del romanzo autobiografico “La cartolina”-,
aveva trovato la cartolina nella cassetta delle lettere. Sul davanti era
raffigurata l’Opéra Garnier di Parigi. Sul retro l’indirizzo della nonna di
Anne (piuttosto ambiguo a dire il vero, quel M. Bouveris poteva essere Myriam
Bouveris oppure Monsieur Bouveris), nessun testo e solo quattro nomi, dei
genitori di Myriam, di suo fratello e di sua sorella. Tutti morti ad Auschwitz
nel 1942.
Quasi vent’anni più tardi Anne vuole scoprire il mistero di quella cartolina dimenticata in un cassetto. Chi può averla spedita? Perché a settant’anni di distanza dalla tragedia del secolo XX? Che significato conteneva? Nasce così “La cartolina”, in apparenza una sorta di indagine per risolvere un mistero che diventa però, sempre più chiaramente, un’indagine che ricostruisce la storia della famiglia Rabinovitch dentro la Storia d’Europa e anche, nel contempo, un’indagine sul significato di essere un ebreo in una società laica. Si tratta di scavare nel passato per capire il presente.
La storia di famiglia ha origine in Russia,
passa per la Lettonia e la Romania e la Palestina prima di arrivare in Francia,
a Parigi. Ci sono due costanti in questa storia- avventure rocambolesche e
fiato sospeso e, d’altro canto, quella sensazione così ingannevole di
sicurezza, quel credere che le acque mosse torneranno tranquille, che la
civiltà e la cultura saranno un baluardo contro il peggio, che aver dimostrato
impegno e fedeltà ad un paese possa schermarli da qualunque minaccia.
Dal 1929 al 1939 era durata la pace per i
Rabinovitch in Francia dove avevano perfino cambiato cognome. Poi c’era stata
l’invasione della Polonia seguita dagli eventi storici che conosciamo e che la
scrittrice ripercorre seguendo le orme dei bisnonni e dei pro-zii- i
rastrellamenti, i campi di raccolta, i treni blindati, i campi di sterminio. Le
tracce dei quattro membri della famiglia nominati sulla cartolina si fermano
qui. Non quelle della nonna Myriam che si era salvata. Come aveva fatto? Ancora
fughe e nascondigli, ancora una vita sul filo del pericolo.
Anne Berest sapeva e non sapeva di essere ebrea. Dopo la Shoah la nonna Myriam aveva cancellato quella parte di sé, non aveva mai parlato di quello che era successo. È riportando alla luce il passato, è l’amore per un uomo che la introduce ai riti ebraici che Anne scopre quale sia il significato della sua appartenenza e quanta importanza abbia.
Il filo conduttore della narrazione è la
ricerca del mittente della cartolina- si scoprirà chi è, alla fine, ma non ha
poi molta importanza. Quello che importa è la memoria, ricordare per non
dimenticare, perché il passato sia un monito. Quello che importa è prolungare
la vita di chi non c’è più, ripercorrere i loro passi verso le case in cui
hanno abitato, parlare con chi li ha conosciuti o è figlio o nipote di chi li
ha conosciuti. Soltanto in questo modo il loro passaggio sulla terra, la loro
sofferenza e il loro impegno saranno ricordati per sempre, non saranno più fumo
che si disperde nell’aria.
Il libro di Anne Berest è vincitore della
prima edizione del Choix Goncourt United States.
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