Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
cento sfumature di giallo
il libro dimenticato
in altre lingue
Peter May, “The noble path”Ed. Quercus, pagg. 532, Euro 8,38
1978. La scena che apre il libro è a
Belfast. Intorno ad un tavolo dove c’è la fotografia di un uomo con una
cicatrice sulla guancia, tre uomini ne sentenziano la morte in quanto
responsabile dell’uccisione di compagni membri dell’IRA. L’uomo che deve morire
è Jack Elliot, un mercenario, un soldato a pagamento.
Nella seconda scena si sta svolgendo un
funerale. Ci sono pochissime persone ad assistere. È morta la madre della
giovanissima ragazza che è lì presente, accompagnata dal suo corteggiatore.
Lisa Robinson ha la visione fuggevole di un uomo in piedi, un po’ discosto. Ha
una cicatrice sulla guancia.
Il nuovo incarico affidato a Jack Elliot prevede che vada in Cambogia- Ang Yuon offre un compenso altissimo perché Elliot trovi sua moglie e i suoi due figli e li porti fuori dalla Cambogia. Se sono ancora vivi. Quando Pol Pot aveva preso il potere con i suoi Khmer Rossi, nel 1976, Ang Yuon era fuggito abbandonando moglie e figli. La loro sorte era stata quella degli altri cambogiani- no, forse erano stati più fortunati. Perché, nonostante il duro lavoro nei campi, nonostante la fame cronica e le malattie, nonostante che la figlia avesse dovuto soggiacere alle voglie di un sorvegliante del campo dove vivevano in baracche, nonostante- e questo è ancora più straziante- al figlio, un bambino di dodici anni, fosse stato fatto imbracciare un fucile con l’ordine di uccidere, erano sopravvissuti.
La trama del romanzo (insolito per Peter
May, al di fuori delle serie con Lewis e Enzo) segue una duplice traccia ed
entrambe le tracce mirano ad un ricongiungimento famigliare. Perché Lisa, in
Inghilterra, ha scoperto, frugando tra le carte della madre, che suo padre non
è morto come lei le aveva fatto credere. Ha anche scoperto il perché di questa damnatio memoriae e, da una vecchia
foto, riconosce suo padre nel misterioso spettatore al cimitero: Jack Elliot.
Si mette in cerca di lui, non può attendere, prende un volo per Bangkok per
scoprire, laggiù, che lui è partito per la Cambogia.
L’operazione di Jack in Cambogia è pericolosa ed inizia male, con un tradimento da parte del tailandese che avrebbe dovuto essere di aiuto. Jack ha ‘arruolato’ due vecchi commilitoni, senza sapere che uno non ha paura di morire perché sta già morendo per tumore, e l’altro (piccolo e magro, esperto della guerra nei cunicoli sotterranei dei nordvietnamiti) vuole assolutamente vivere per far crescere il figlio in America.
Entrambi i filoni sono ricchi di suspense e
di orrore. Quello che Jack vedrà nella cosiddetta Kampuchea Democratica è pari
agli orrori commessi dai nazisti. Crudeltà allo stato puro. Morte e
distruzione. Phnom Penh, la Perla dell’Asia, deserta e in rovine. Il fatto che
la famiglia di Ang Yuon sia viva, e che Jack riesca a ritrovarli, è miracoloso.
Il tempo stringe, i Vietnamiti stanno per invadere la Cambogia, il ritorno via
terra è precluso. Non vi anticipo altro, e però non posso tacere che i
fuggitivi giungono in vista degli splendidi templi di Angkor, le vestigia di un
passato grandioso in brutale contrasto con il presente.
Lisa Robinson, che ora ha preso il cognome di Elliott, arriva in Thailandia con la baldanza e la sprovvedutezza dei suoi 18 anni. Anzi, la sua fiducia mal riposta nel prossimo ci sembra sconfinare nella stupidità che neppure la sua giovane età riesce a giustificare. Lisa si fida di tutti. Del tassista che le fa da guida, del marpione che la ospita dicendo che è amico del padre, della bellissima donna che le fa indossare un abito audace per una cena durante la quale Lisa accetta il garbato corteggiamento di un generale che finge un atteggiamento di protezione paterna. Possibile che Lisa sia così ingenua? Possibile che salga in auto con sconosciuti che hanno in mente trame obbrobriose? Siamo in Thailandia…
Il finale ci riserba un’ultima sorpresa.
Un romanzo che non è dello stesso livello della trilogia dell’ “Uomo di Lewis”, perché i cenni storici e le descrizioni della Cambogia dei Khmer Rossi sembrano essere presi in prestito, e tuttavia ha una sua attrattiva, soprattutto per la tematica dell’innocenza violata- dei due figli di Ang Yuon e della figlia di Elliot. Sembra quasi che i figli debbano scontare le colpe dei padri.
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