Voci da mondi diversi. Area germanica
cento sfumature di giallo
Simone Buchholz, “Uomini in gabbia”
Ed. Emons, trad. Franco Filice, pagg.
187, Euro 14,00
Non ha un significato solo metaforico il titolo “Uomini in gabbia” della
scrittrice tedesca Simone Buchholz. Significa proprio quello che dice: qualcuno
sequestra degli uomini- dei dirigenti di un gruppo editoriale- e li lascia nudi
e privi di sensi, con evidenti tracce di sevizie, rinchiusi in una gabbia
chiusa con un lucchetto così grosso e antiquato che il funzionario di polizia
fa fatica ad aprire con le tenaglie. Viene poi spontanea la domanda che apre
uno spiraglio sull’altro significato, quello che il colpevole vuol comunicare,
e che contiene in sé la risposta: a chi sono destinate le gabbie, in genere? A
delle bestie. L’equazione è: questi uomini sono delle bestie. Chi vuol
intendere intenda.
Siamo ad Amburgo. Piove. La scena iniziale è quella di una ragazza che
giace sull’asfalto, la sua bicicletta a qualche metro di distanza da lei. Chi
l’ha investita è scappato senza prestarle soccorso. La procuratrice Chastity
Riley si trova lì per caso, stava andando in un pub. E il suo pensiero è ancora
con la ragazza morta quando- e ormai è a casa- le telefona la procuratrice capo
chiedendole di andare verso il porto, qualcuno ha lasciato un uomo in gabbia
davanti all’ingresso principale dell’edificio di un grosso gruppo editoriale.
Ecco i due filoni della trama che sembrerebbero non avere nulla in comune.
L’editoria è in crisi, c’è una continua riduzione del numero dei redattori- c’è
forse qualcuno che si vuol vendicare su chi, dall’alto, approva i tagli delle
spese? Perché un secondo uomo viene ritrovato in gabbia, un altro dirigente.
Non c’è due senza tre…
“Uomini in gabbia” è il terzo romanzo che ha per protagonista Chastity
Riley, figlia di un ufficiale americano che è sempre stato considerato un
‘occupante’ in Germania dove era di stanza. E isolato in quanto tale. Lei,
Chastity, è un tipo singolare. Quarantacinque anni, capelli lunghi castano
rossi, niente trucco, un legame ormai stanco con un uomo che gestisce un pub.
Disincantata, cinica (chi non lo sarebbe con un lavoro così?), Chastity beve
decisamente troppo. Eppure, in questa narrativa in prima persona che lascia
spazio all’affiorare di pensieri intimi e sentimenti non detti, percepiamo
anche una certa fragilità di Chastity sotto la scorza da ‘dura’, come una
nostalgia o un rimpianto per qualcosa che la vita non le ha dato.
Il nuovo collega Ivo Stepanovic,
incaricato del caso degli uomini in gabbia insieme a lei, l’uomo ruvido che si
sente condannato a vivere nel presente, senza possibilità di trovare sollievo
né nel passato né nel futuro, le offrirà forse la prospettiva di un cambiamento
di vita? Intanto Chastity impara a conoscerlo meglio- con qualche titubanza-
quando l’inchiesta li porta in Baviera, a scavare nel passato delle tre vittime
che erano stati compagni di stanza in collegio. ‘La Toscana, un corno’,
commenta Chastity quando legge un cartello che reclamizza l’area della
cittadina di Biesendorf come la Toscana della Franconia. Dolci colline come in
Toscana ma niente allegria, niente solarità, persiane chiuse, nessuno in
giro. Quanto al collegio, poi, pur se
rimodernato, mantiene l’aria da scuola degli orrori.
Non ci sono grossi sussulti, nello svolgimento della trama. Ci viene
detto presto dove dobbiamo indirizzare lo sguardo per scoprire il colpevole.
Ma: chi è il colpevole e chi è la vittima?
Con uno stile scattante e brusco che rispecchia perfettamente la
personalità dell’io narrante, senza lungaggini e appesantimenti, “Uomini in
gabbia” tocca più di una problematica- disoccupazione e bullismo, la scuola che
non educa, genitori assenti anche quando sono presenti, cecità selettiva verso
la realtà che ci circonda. Con Amburgo sullo sfondo, città di pioggia con
squarci di sole, il buio illuminato dai quartieri a luci rosse.
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