Eva Wanjek, “Lizzie”
Ed. Neri Pozza, trad. Stefano
Musilli, pagg. 489, Euro 18,00
Citiamo i Preraffaelliti e, prima ancora
dei nomi dei pittori che facevano parte di questa confraternita fondata a metà
del secolo ‘800 in Inghilterra, ci vengono in mente le donne rappresentate nei
loro quadri. O forse dovremmo dire ‘la donna’, perché, si chiamassero Lizzie,
Annie, Fanny, si assomigliavano tutte, oppure erano tutte trasformate dagli
occhi dei pittori in un unico ideale di donna, sensuale e angelica, una
fiammeggiante chioma rossa come aureola, carnagione diafana, zigomi alti e
labbra sensuali. Unica eccezione, Jane dai folti capelli scuri. Unico modello:
Elizabeth Eleanor Siddall, la musa, l’amante, la moglie di Dante Gabriel
Rossetti, il fondatore e capo della confraternita.
“Lizzie”, il romanzo di Eva Wanjek
(pseudonimo di Martin Michael Driessen, regista, traduttore e scrittore
olandese, e di Liesbeth Lagemaat, poetessa, giornalista e attrice, pure lei
olandese), ci racconta la vita di Elizabeth Siddall, figlia di un arrotino,
vista per strada dal pittore Walter Deverell che la seguì fino alla sartoria
dove lavorava. Elizabeth iniziò a posare per tutti i pittori della
confraternita, si ammalò anche dopo aver posato, per lunghe ore, giorno dopo
giorno, sdraiata nell’acqua in una vasca per l’Ophelia di John Millais, e divenne poi ‘esclusiva’ di Dante Gabriel
Rossetti, poeta e pittore.
Nel romanzo la voce di Elizabeth si alterna alla
narrativa in terza persona- sullo sfondo dell’epoca vittoriana fiorisce la
storia di un amore nato dal fascino dell’una e dell’altro, dalla bellezza
straordinaria di lei e dalla genialità di lui. Un amore, però, che diventa ben
presto ossessione, minato dalla salute fragile di lei e dalla dipendenza dal
laudano che entrambi svilupparono.
Non è mai chiaro, nel romanzo, perché
Lizzie fosse così delicata e magra, se il suo fosse un caso di quella che oggi
riconosceremmo per anoressia.
Si parla molto, nel libro, di quanto bevano e
pochissimo di che cosa mangino, si cita spesso una bottiglietta di soluzione
Fowler che Lizzie ingurgita di nascosto (a suo dire, ravviva l’incarnato) e per
cui viene rimproverata dalla sorella di Dante- è un veleno in piccole dosi-, e,
inoltrandoci nella lettura, aumentano le gocce di laudano che Dante e Lizzie si
versano nei bicchieri. Dapprima era per dormire meglio, poi non era mai
sufficiente, poi non potevano farne più a meno prima di passare all’oppio che
Dante si procurava andando al porto ad aspettare la nave dalla Cina. E
comunque, in una situazione simile, la gravidanza di Lizzie non poteva andare a
buon fine. La tragedia incombe su di loro, era in attesa fin dai giorni in cui
Lizzie era al mare, a Hastings, per rimettersi in salute, fin da quando era
stata finalmente fissata la data del matrimonio che Dante aveva continuato a
rimandare. L’intero periodo finale del loro amore è una tragedia che culmina
nella morte di Lizzie per probabile suicidio.
Le pagine in cui è Lizzie che parla sono
eteree, rivelano la poetessa che si nasconde in lei, prima di diventare
disconnesse, come se stesse farfugliando sotto effetto della droga. L’amore
diventa odio sotto i colpi della gelosia (e ha ragione di essere gelosa), Lizzie
non vive più nella realtà, pare non vivere affatto, persa in un suo mondo in
cui la bambina che nascerà è già un angelo.
E corriamo il rischio di annoiarci
leggendo queste pagine, a tratti ripetitive. Più brillante è invece l’altra
narrativa, ricca di dettagli ambientali e di personaggi che sono i pittori a
noi noti, dominata dalla figura di Dante Gabriel Rossetti, un uomo non sempre
gradevole e non sempre coerente- tutto l’amore imperituro per Lizzie non gli
impedì di far riesumare la salma per riappropriarsi del libricino di poesie a
lei dedicate che aveva fatto sigillare nella bara insieme al suo corpo. Questa
disparità di tono- di certo voluta dai due autori ma forse troppo accentuata-
non giova alla lettura del libro che offre ugualmente, tuttavia, un bel quadro
di un ambiente e le storie di retroscena di dipinti famosi.
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