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seconda guerra mondiale
Stefano Ardito, “Guerra in Appennino. 1943-1945 lotta per la libertà”
Ed.
Corbaccio, pagg. 224, Euro 19,60
C’è un quesito interessante nel libro di
Stefano Ardito, “Guerra in Appennino”. Perché si è fatto molto per ripristinare
la percorribilità dei camminamenti della Grande Guerra, per rendere visitabili
le trincee e i fortini lungo la linea di difesa alpina, contribuendo a mantener
vivo il ricordo del sacrificio di molti, e invece non si è portato a termine un
lavoro analogo per i luoghi degli scontri e delle tragedie che si sono
consumate durante la Seconda Guerra mondiale? Perché le Alpi sono diventate il
luogo della memoria e non gli Appennini?
La risposta è in una sottile motivazione psicologica, prima di tutto. L’Italia è uscita vincitrice dalla prima Guerra mondiale, mentre ha collezionato sconfitte durante la seconda guerra a fianco di un alleato che impersonava il Male assoluto e non ha certo tenuto un comportamento onorevole accettando l’armistizio e gettando nel caos il paese, rimasto senza guida alla mercé dell’ex alleato tedesco che era diventato il nemico. Un nemico che occupava il paese, che metteva in atto rappresaglie di una crudeltà inimmaginabile contro chiunque poteva aver fiancheggiato le azioni dei partigiani, impegnati in una lotta tesa a dimostrare che non tutti gli italiani avevano aderito al fascismo.
Stefano Ardito ci porta sull’Appennino, di
crinale in crinale, di paese in paese, per raccontare e rivivere quei terribili
due anni, dal 1943 al 1945. Perché le montagne dell’Appennino hanno visto una
guerra ben diversa da quella sulle Alpi- non una sola linea difensiva ma due
furono le linee costruite dalla Wehrmacht, la Linea Gustav, dall’Abruzzo al
Lazio, e la Linea Gotica, dalla Romagna fino alle Alpi Apuane, e non fu una
guerra statica perché il fronte arretrava, perché ogni passo doveva essere
conquistato e riconquistato, e non fu una guerra che colpì solo gli eserciti ma
anche i civili.
È un racconto accurato, quello di Stefano Ardito, e documentato. Un racconto che fissa nella memoria nomi e luoghi, gesta di eroismo dimenticate, sacrifici di vite umane, che fa rivivere il terrore di quelle stragi insensate dove trovarono la morte donne, vecchi, bambini. Forse, invece di nomi purtroppo famosi- Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto- dovremmo citarne altri, come Collelungo e Ortona, e sarebbero sempre pochi perché l’elenco è lungo. E come si può non ricordare anche la morte dei luoghi, di Montecassino (l’antico monastero benedettino distrutto dalle bombe e ricostruito dopo la fine del conflitto). E soprattutto, prima di tutto, la morte della pietà.
Il tono della narrazione è vivace, questo
non è un arido libro di Storia, è come se Arditi paragonasse due fotografie,
‘Ieri’ e ‘Oggi’, ci racconta di quello che vediamo oggi e come dobbiamo
interpretarlo per sentire nell’aria le voci del passato, ci indica i luoghi
dove sono sorti memoriali, ci suggerisce dei percorsi da fare, i Sentieri di
Pace sulle Alpi Apuane, in cerca di testimonianze nei bunker e nelle trincee,
godendo del paesaggio, ricordando, rendendo onore ai morti.
E naturalmente, accanto ai nomi- veri e di
battaglia- dei nostri banditen(come i
tedeschi chiamavano i partigiani- ci sono anche i nomi degli ufficiali tedeschi
che ordinarono le stragi, c’è, purtroppo, la mancanza di condanne adeguate per
i crimini di guerra, la spiegazione del perché buona parte della documentazione
fu insabbiata, nascosta nell’ “armadio della vergogna”.Sant'Anna di Stazzema
Il tempo scorre veloce. Tra poco più di
vent’anni sarà passato un secolo dalla fine della guerra, il solo fatto di
collocarla nel secolo scorso la rende già una guerra lontana. Eppure la memoria
ha il suo valore, dobbiamo ricordare. Una buona maniera è leggere il libro di
Stefano Ardito.
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