vento del Nord
biografia
autobiografia
Björn Larsson, “Nel nome del figlio”
Ed. Iperborea, trad. A. Scali, pagg.206, Euro16,50
Tutto ha inizio con una data di fine estate,
il 27 agosto 1961. Tutto finisce quello stesso giorno.
Il
27 agosto 1961, durante una gara di pesca, una piccola imbarcazione affonda nel
lago Nedre Vätter, nella Svezia centrale. Avrebbe potuto trasportare al massimo
quattro persone, invece a bordo c’erano sei adulti e due bambini. Morirono
tutti. Uno di loro era l’elettricista Bernt Larsson, ventinove anni, il padre
dello scrittore.
Björn Larsson ricorda benissimo quel giorno. Aveva sette anni e mezzo. E, quando era tornato a scuola, dopo i funerali, aveva detto ad un amico che la morte del padre gli aveva dato più sollievo che dolore. Una confessione che dà molto da pensare, parole che rivelano qualcosa di cui forse Björn bambino non si rende neppure ben conto e per cui sono inutili le lacrime della madre a cui è stato riferito quanto detto dal figlio (che nega di essersi espresso così). Sarebbe meglio, forse, cercarne la causa, approfondire quale fosse il rapporto padre-figlio e poi indirizzare lo sdegno verso chi ha riportato le parole alla vedova- a che pro? Pura e semplice cattiveria.
Inizia da qui il viaggio dello scrittore (in
quanti viaggi abbiamo accompagnato Björn Larsson nei suoi libri, ad iniziare da
“Il lungo viaggio del pirata Long John Silver”), questa volta non veleggiando
sui mari, ma nella sua mente, alla ricerca dell’evanescente figura del padre
scomparso troppo presto e finendo poi, per necessità di cose, per parlare di
sé- una biografia che è nello stesso tempo autobiografia.
Il lui bambino che ha conosciuto il padre
ha veramente pochissimi ricordi. Di certo il padre, come tutti nei paesi
nordici, beveva, e molto. Era perché aveva bevuto che non si era reso conto del
pericolo dell’imbarcazione su cui era salito? Di certo i ricordi sgradevoli che
il figlio (in tutta la narrazione Björn Larsson si identificherà come ‘il
figlio’ de ‘il padre’) ha del padre sono collegati alle volte che questi aveva
bevuto. Eppure suo padre avrebbe potuto avere una vita interessante e
soddisfacente davanti a sé. I nonni non avevano avuto i mezzi per farlo
studiare, ma il padre aveva molti interessi, oltre ad essere un ottimo
elettricista. Aveva fatto ricerche per trovare l’uranio, aveva sete di
avventura, aveva preso il brevetto di sommozzatore.
Ecco, come era stato possibile che un uomo in piene forze, provetto nuotatore, esperto nelle tecniche di salvataggio, fosse annegato, oltretutto ad una distanza relativamente breve dalla costa e in acque non fredde? Lo scrittore fa sue le ipotesi avanzate dai giornali dell’epoca e dalla descrizione di quanto era accaduto nello scritto di chi aveva rinvenuto il corpo del padre.
Questo episodio cruciale non viene
accantonato, Björn Larsson ci ritornerà ripetutamente sopra con domande che non
hanno risposta, mentre altre domande si rincorrono, più esistenziali, di più
ampio raggio. Riguardano l’ereditarietà, se esistano dei geni che tramandano
inclinazioni e interessi e carattere. Pensando alla sua propria vita, a
determinate esperienze, come l’anno trascorso a studiare in America, la sua
specializzazione in francese e tutto quello che ne era seguito, Björn Larsson
si domanda se sarebbe stato tutto uguale anche senza quella tragedia, anche
senza l’assicurazione che a loro insaputa il padre aveva fatto e che aveva dato
loro possibilità insperate.
Il padre, la madre a cui il figlio ha
proposto un legame di amicizia, gli amori, il suo diventare padre a sua volta,
le letture, il mare, ancora domande sulla sorte del padre che diventa spunto
per una riflessione di maggiore portata- non dovrebbe essere uguale per tutti
il cordoglio, quando una persona scompare? Non è una gran livellatrice la
morte? Perché, sui giornali, alcuni hanno la dignità di apparire con nome e
cognome e altri sono dei numeri in una notizia?
“Nel nome del figlio” è lo sguardo girato
indietro per guardare al passato e cercare di interpretarlo, accettando quello
che è stato, perché lo scrittore può dire di ‘non aver niente da rimpiangere,
niente di cui dispiacersi, nessuno da incolpare eccetto se stesso, tantomeno
suo padre’ e, ‘se potesse tornare indietro non cambierebbe quasi nulla’. C’è una
quieta soddisfazione in questo, una consapevolezza che l’unica tragedia è
quella di non vivere, di morire troppo presto, come suo padre, senza aver modo
di realizzare i suoi sogni, qualunque fossero stati. E la riflessione dello
scrittore diventa quella di tutti noi che leggiamo.
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