Casa Nostra. Qui Italia
romanzo di formazione
Beatrice Salvioni, “La malnata”
Ed.
Einaudi, pagg. 248, Euro 17,50
Le prime pagine del romanzo opera prima di
Beatrice Salvioni annunciano la fine- sulle rive del Lambro una ragazzina giace
a terra, un ragazzo la schiaccia col suo peso, dall’acqua esce un’altra
ragazza, pronta ad aiutare l’amica. Il corpo del giovane si accascia senza
vita. Devono nascondere il cadavere. Come si è arrivati a questa violenza?
Monza. 1936. L’autunno dell’anno precedente Mussolini aveva lanciato la Campagna d’Etiopia (chiamata anche Abissinia da una delle popolazioni)- megalomania, sogni di grandezza, desiderio di proclamare la superiorità della civiltà fascista, possibilità di spingere un’emigrazione verso ‘un posto al sole’, erano questi i moventi dietro la guerra.
La
voce narrante di questa storia dell’Italia agli albori del fascismo è
Francesca, bambina sulle soglie dell’adolescenza, figlia unica di genitori
della media borghesia. Suo padre ha un cappellificio, è un uomo di poche
parole, il suo silenzio lascia pensare a opinioni contrarie a quelle correnti,
chiude gli occhi davanti alla palese scappatella della moglie, pensa ai
guadagni che gli porterà la guerra. La madre è severa e bada alle apparenze-
sua figlia deve comportarsi da ‘signorina per bene’. Quanto a lei, scompare da
casa per ore intere e, quando ritorna, ha i capelli in disordine. Soltanto la
domestica tuttofare manifesta il suo affetto per Francesca, il dettaglio
commovente in cui, nella stanza da bagno, spiega a una bambina spaventata come
usare per le perdite di sangue le strisce di stoffa che la madre le ha cacciato
lì senza una parola, dice tutto sul suo cuore grande.
E poi c’è la Malnata, la vera protagonista del romanzo, la ragazzina a cui guarda Francesca con ammirazione e invidia. Perché la Malnata non ha niente di quello che ha Francesca (i suoi abiti sono poco più che stracci, la sua famiglia è sulla soglia dell’indigenza) e tuttavia ha quello che Francesca non ha- libertà. Libertà di pensiero, di comportamento, di giochi, di compagnie. Francesca la guarda sempre giocare in riva al Lambro insieme a due ragazzi. Che cosa darebbe per unirsi a loro! E un giorno scende anche lei in riva al fiume. Per Francesca la Malnata ha un nome, si chiama Maddalena. Francesca non crede alle dicerie- che l’angioma che le corre sulla guancia sia il tocco del diavolo, che porti disgrazia a chi le si avvicina, che abbia causato la morte del fratellino e del padre.
Diventano amiche, la Malnata e Francesca,
per quanto le separi un abisso, per quanto impossibile possa sembrare.
Francesca mente, Francesca esce di casa di nascosto, Francesca sfida le
proibizioni. E apre gli occhi, inizia a vedere le cose in maniera diversa, la
guerra non è un divertimento, i ‘signori’ della cui conoscenza sua madre si
vanta non sono gente perbene. Francesca impara, che gli uomini fanno promesse
che non mantengono, che si prendono quello che vogliono da una ragazza e poi la
gettano via come merce avariata, che gli stessi che inneggiano alla guerra si
sentono autorizzati ad usare la violenza soprattutto su chi è più debole.
La fine del romanzo, in giorni come questi
in cui l’Italia è scioccata da un ennesimo femminicidio, è importante e
salvifica- dalla Malnata Francesca impara ad avere il coraggio della denuncia,
di gridare forte, di farsi sentire.
Con uno stile scorrevole ed accattivante, un
romanzo di formazione a tratti ‘scontato’ ma che si legge bene.
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