sabato 30 settembre 2023

Qiu Xiaolong, “Il dossier Wuhan” ed. 2023

                                                  Voci da mondi diversi. Cina

cento sfumature di giallo

Qiu Xiaolong, “Il dossier Wuhan”

Ed. Marsilio, trad. Fabio Zucchella, pagg. 254, Euro 18,00

    Wuhan, nella Cina centrale, attraversata dal Fiume Azzurro e dal Fiume Han. Non so quanti di noi ne conoscessero il nome o sapessero dell’istituto di Virologia che lì ha sede, prima di quel fatidico febbraio del 2020 quando il Covid esplose a Codogno. In Cina l’epidemia era iniziata prima, qualche notizia era trapelata ma era stata subito soffocata- è la politica del Partito Comunista cinese, niente deve offuscare l’immagine della perfezione, della sua superiorità sui governi dell’Occidente.

    Adesso…adesso Wuhan porta il marchio del Covid, le discussioni sull’origine del virus sono ancora aperte, impossibile dimenticare quello che abbiamo passato. E la voce di Qiu Xiaolong, scrittore nato a Shanghai ma residente in America dal 1989, nel suo nuovo romanzo della serie con Chen Cao, l’ormai ex ispettore capo della polizia di Shanghai, è una testimonianza importante.


“Ci sono cose che un uomo deve fare”, dice Confucio- una massima ripetuta da Chen Cao e dallo stesso Qiu Xiaolong in quella che è la postfazione del libro, quasi che lui e il suo personaggio fossero la stessa persona. Perché il nuovo romanzo, più ancora degli altri che lo hanno preceduto, è soltanto in parte un’indagine poliziesca alla ricerca di un assassino che ha commesso tre delitti. La trama gialla è come una copertura anche se la sua soluzione è strettamente collegata a quello che è l’intento principale dello scrittore- far sapere al mondo che cosa è successo in Cina, che cosa ha voluto dire la politica zero-Covid attuata dal governo, quali ne siano state le tristissime conseguenze, quale tragedia nella tragedia abbia vissuto il popolo cinese. Il titolo originale del libro è “Love and Murder in the time of Covid” ed è un titolo che dissimula il vero contenuto. Più esplicito il titolo italiano “Il dossier Wuhan”, perché, inframmezzata alla narrativa ‘gialla’ della ricerca del colpevole, c’è un’altra narrativa, quella del dossier che arriva a Chen Cao in qualche maniera, direttamente da Wuhan, tra mille difficoltà e sempre con il timore di essere scoperto.

    A Shanghai ci sono stati tre omicidi nelle vicinanze del maggiore ospedale. Non c’era alcun collegamento tra le tre vittime, l’assassino era uno solo o più di uno? Chen Cao e la sua segretaria Jin verranno alloggiati in un hotel dove un intero piano è stato loro riservato, per evitare spostamenti che ormai, con le nuove disposizioni per impedire i contagi, sono difficoltosi. Ma è solo questo il motivo?

Il Bund a Shanghai

    Se è vero che ritroviamo nel romanzo scene che purtroppo ci ricordano da vicino quanto è successo da noi- l’ululato continuo delle sirene, il sovraccarico di lavoro per medici e infermieri, la disperazione di chi non riusciva ad essere ammesso negli ospedali strapieni, l’atmosfera, però, aggiunge paura alla paura, orrore all’orrore. È un’atmosfera opprimente quanto quella del romanzo “1984” di Orwell, spesso citato insieme alla “Fattoria degli animali” dove il maiale Napoleone è una chiara allusione al novello Imperatore cinese. Perfino il nuovo linguaggio coniato in Cina ricalca quello orwelliano, c’è il psicocrimine, la cyber polizia, un Grande Fratello che ha mezzi tecnologici di onnipresente sorveglianza sconosciuti ai tempi di Orwell, ci sono i droni simili a grandi uccelli ronzanti. E poi ci sono i Grandi Bianchi (i controllori delle trasgressioni delle norme anticovid), le Piccole Guardie Rosse e i comitati di quartiere. A Wuhan- riporta il dossier- sono state inchiodate con assi le porte delle abitazioni dove c’era anche un solo ammalato, il governo non aveva mantenuto la promessa di far arrivare generi di consumo, nessuna emergenza (un parto anticipato, un attacco di appendice o di asma) veniva accettata in ospedale. I danni collaterali della politica zero-Covid erano altissimi. Si sarebbe arrivato a questo anche a Shanghai?

La Torre della Gru Gialla. Wuhan

   “Amore e morte ai tempi del Covid”- la morte è ovunque, la morte coglie di sorpresa, sia chi si ammala di Covid sia i malcapitati che sono stati assassinati; resta l’amore, quello timido tra Chen Cao che si sente vecchio e la segretaria che lo adora e lo ammira, quello per i genitori che sono i più fragili di fronte al virus, quello che può anche portare ad uccidere. Prevale lo scoramento- a che cosa è servito che Chen Cao si sia dato da fare per risolvere il caso? La Cina cambia, la Cina è sempre uguale. E, dopo i versi degli antichi poeti cinesi che Chen Cao tradurrà in inglese, dopo quelli sulla Torre della Gru Gialla di Wuhan (gli antichi se ne andarono, in groppa a gialle gru;/ in questa landa, invano, ne resta ormai la torre), dopo quelli del suo amato T.S.Eliot (aprile è il mese più crudele), arrivano quelli sferzanti di “Leggendo La Fattoria degli Animali”: Santo cielo, pandemia? Febbre alta? Che succede?/ Nossignori non temete, l’importante è avere fede…E che importa se più tardi i flutti sommergeranno il cielo?/ Io sono l’Imperatore, l’unico Imperatore.

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martedì 26 settembre 2023

Carla Maria Russo, “La figlia più amata. Storia delle sorelle Medici” ed. 2023

                                                                      Casa Nostra. Qui Italia

               romanzo storico

Carla Maria Russo, “La figlia più amata. Storia delle sorelle Medici

Ed. Piemme, pagg. 400, Euro 18,90

     Cosimo I dei Medici, duca di Firenze, non si interessò mai dei figli maschi, contrariamente a quanto ci si sarebbe potuto aspettare da lui, visto che solo un figlio maschio avrebbe potuto ereditare  il ducato.

Aveva bruciato tutte le tappe, Cosimo. Figlio del condottiero Giovanni della Bande Nere, era salito al potere a soli diciassette anni e non ne aveva neppure diciotto quando era diventato padre per la prima volta. Di una bambina, figlia di una donna di cui non era mai stato rivelato il nome. Cosimo non si separava mai dalla piccola Bia, era- come si suol dire- ‘la luce dei suoi occhi’. Quando la bimba morì, a soli sei anni,  la sua disperazione fu tale che si temette per la sua vita. Eppure ormai Cosimo era sposato, era innamoratissimo della moglie Eleonora, aveva avuto altri due figli da lei, Maria e Francesco, l’erede al ducato. Cosimo si riprese alla notizia che sarebbe diventato di nuovo padre- nessuno osava pensare alla sua reazione se non fosse nata una bambina.

Cosimo I dei Medici

   E nacque una bambina. Era il 1542. Isabella- e già il nome conteneva lei, perché Isabella era bella, sarebbe diventata una donna bellissima, la figlia più amata da Cosimo. Sarebbe morta a trentaquattro anni, due anni dopo la morte del padre- una breve distanza temporale che lascia spazio per pensare a oscure trame.

   Dovremmo essere abituati alla straordinaria capacità di Carla Maria Russo di dare vita ai personaggi storici, di dipingere per noi dei vasti quadri che non hanno i colori sbiaditi degli arazzi, di farci rivivere con passione avvenimenti di 500 o anche più anni fa. E invece no, ogni suo nuovo romanzo ci strega e ci irretisce, ogni sua nuova protagonista (le sue eroine sono per lo più donne, fa eccezione “Il cavaliere del giglio”) ci incanta.

   Isabella, una bambina con carattere volitivo, audace, curioso, incurante delle regole di corte, diventa una donna indipendente- ci si può domandare se sarebbe stata la stessa se non avesse avuto un padre che la adorava e che le permetteva di fare tutto quello che voleva, insieme al fratello nato un anno dopo di lei, Giovanni (l’unico altro figlio che destava qualche interesse in Cosimo, e forse proprio perché era il fratello preferito di Isabella).

Isabella

Un legame così stretto tra padre e figlia poteva dar adito a maldicenze, certamente suscitava gelosie e perfino invidia da parte dei fratelli e delle sorelle di Isabella. Cosimo e Isabella. Isabella e Cosimo. C’era qualcosa che Cosimo  avrebbe mai potuto rifiutare a quella figlia che aveva preso il posto lasciato vuoto da Bia nel suo cuore? E ci sarebbe stato mai un uomo degno di lei a cui Cosimo avrebbe potuto darla in sposa? Ed ecco che qui Cosimo sbaglia. Per amore, ma sbaglia. Sbaglia anche per interesse politico nello scegliere per lei Paolo Giordano Orsini, di una casata più illustre dei Medici, ma un vizioso senza ricchezze e pieno di debiti. Eppure Cosimo lo sceglie proprio per questo, per poterlo manovrare, per fargli accettare che Isabella dovrà restare a Firenze nella casa del padre anche quando sarà sua moglie.

   Isabella, l’incantevole e colta Isabella, non è l’unica protagonista del romanzo di Carla Maria Russo. La sua storia di non-amore per Paolo Giordano Orsini è affiancata da quella di vero amore tra Cosimo e la moglie Eleonora, da quella di amore che non arriva a compimento della sorella maggiore Maria che muore prima di coronare il suo sogno con Alfonso II d’Este il quale accetterà il ripiego di sposare un’altra sorella di Isabella, Lucrezia. Povera Lucrezia, non amata in famiglia e disprezzata dal marito. Sono tutte malmaritate le figlie di Cosimo, lo è pure la nipote Leonora che Cosimo farà sposare al figlio minore Pietro, un debosciato. E allora, per loro fortuna o per loro sfortuna, queste ragazze che sono state date in matrimonio quando erano giovanissime, trovano l’amore fuori del matrimonio, con tutti i pericoli che questo comporta. E le pagine che si alternano alla narrativa principale, con messaggi in cui i veri nomi sono celati da soprannomi e altri in cui emissari del duca d’Este riferiscono al loro signore quanto accade a Firenze, acuiscono l’atmosfera di pericolo e di congiura, mentre il diario segreto di Isabella è come un ‘dietro le quinte’, contiene la verità dei sentimenti contrapposta alla finzione.

Eleonora con il figlio Giovanni

    Come le grandi tragedie scespiriane, la fine del romanzo è costellata di morti. C’è chi muore di morte naturale, di tubercolosi o di malaria in un tempo in cui l’unica cura era il salasso, e c’è chi muore assassinato in un tempo in cui non ci si faceva problema ad eliminare con la violenza chi era di ostacolo. E, sempre come nelle tragedie di Shakespeare, sono le cadute dei grandi quelle che fanno più fragore ed è una mancanza, un difetto fatale nell’eroe protagonista che causa la tragedia. È, paradossalmente, il troppo amore di Cosimo per la figlia e per quella nipote che aveva cresciuto come fosse figlia sua, che causerà la loro morte.

    “La figlia più amata” non è un libro di Storia, è un romanzo storico e va letto come tale. È un romanzo che fa vivere la Storia e noi dentro di essa. È un romanzo che affascina.

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sabato 23 settembre 2023

Nino Haratischwili, "La luce che manca" Intervista 2023

                                                 


    Poteva esserci un giorno più sfortunato, per la presentazione di un libro e della sua scrittrice, di un giorno di sciopero dei mezzi, a Milano, e di maltempo che ormai significa violentissimi temporali? Forse, però, come si dice, ‘sposa bagnata, sposa fortunata’, si può anche dire ‘scrittrice bagnata, scrittrice fortunata’- scrosciava la pioggia mentre Nino Haratischwili entrava nella libreria Feltrinelli, eppure erano in molti quelli che avevano affrontato le difficoltà per venire a sentirla parlare del suo nuovo romanzo, “La luce che manca”. E ne valeva la pena. 

    Vestita di nero, con un bel viso dall’aria un po’ austera, Nino Haratischwili parla perfettamente sia il tedesco sia l’inglese (non ho potuto fare a meno di domandarmi quanti scrittori italiani ne sarebbero in grado) e, prima che iniziasse la presentazione, ho avuto modo di farle delle domande sul suo libro.

     Un personaggio del suo libro ad un certo punto dice, “E’ ancora mia questa città? Posso ancora chiamarla mia dopo che ho perso tante stagioni di lillà in fiore? Quando è che una cosa cessa di essere nostra?”. So che Lei non è Qeto, una delle protagoniste, ma si riconosce in lei? si pone la stessa domanda? È ancora la sua città, Tbilisi?

     Non proprio, non più, ma torno spesso a Tbilisi, ho un appartamento laggiù, sono sempre in contatto con gli amici e con la mia famiglia. E tuttavia, quando ci si allontana, non si appartiene più alla città e a volte mi rattrista tornare e rendermi conto che non si fa più parte della città. Può essere, però, anche liberatorio, si diventa un poco estranei, si acquista una nuova prospettiva e questo mi piace, dell’essere estranei- si inizia a guardare le cose da un altro punto di vista.

Nel romanzo ci sono le quattro amiche che sono i personaggi principali e poi c’è un’altra protagonista, la macchina fotografica di Dina: è il punto di vista oggettivo?

   Interessante. Può essere anche questa un’interpretazione. Per me la fotografia era un mezzo importante per scrivere il libro, mi era utile, mentre lo scrivevo, usare un tramite diverso per descrivere le cose. Potevo zumare su di esse- con le parole naturalmente- e mi ha aiutato molto per sottolineare quello che mi pareva importante, mi ha aiutato ad avvicinarmi alla situazione e ai problemi.


Una peculiarità della sua narrativa è che la voce parlante NON è il personaggio principale. L’attenzione è centrata su Dina: perché ha scelto lei come la ragazza più ‘in vista’?

    Per me lei non è la protagonista, sono tutte loro protagoniste sullo stesso livello. Dina, però, è la più espressiva, è il motore, è una forza trainante- ecco perché sembra essere lei il personaggio più importante. Forse è lei che spinge la storia a proseguire, è lei che prende decisioni che hanno conseguenze. Ira ha i suoi progetti, Nene agisce seguendo l’istinto, e Qeto- a chi toccava raccontare la storia? Poteva toccare solo a lei, Qeto, perché è la più osservatrice, lei è quella giusta per raccontare. Non è obiettiva al 100% ma lo è più delle altre.

La storia del romanzo si svolge negli anni ‘90 e tuttavia mi sono stupita di leggere di comportamenti che, a quel tempo, non erano più comuni nel Nord Italia anche se forse lo sono tuttora nel nostro profondo Sud: l’onore della famiglia era così importante? Lo è tuttora?

    Sì, il senso dell’onore era proprio così, può sembrare esagerato, ma era così. Adesso le cose sono cambiate e poi dipende da dove sei, nei paesi in montagna è ancora così, ma non nelle città. Quella georgiana era una società dominata dall’uomo, dal maschio, era un patriarcato e d’altra parte era una società senza regole, un’anarchia: gli uomini decidevano tutto e in maniera sbagliata. Era una società violenta. Le donne improvvisavano e cercavano di farsi strada. I criminali erano il modello da imitare e i giovani li imitavano. La conseguenza fu una grande tragedia in cui due generazioni andarono perse, per la violenza e per la droga.


Mi ha scioccato la ferocia del suo romanzo. Dopo l’inizio quasi idilliaco, il romanzo diventa sempre più selvaggio. La violenza aumenta a tutti i livelli, il Male si diffonde nelle famiglie e nell’intero paese che sembra essere coinvolto in una guerra senza fine- guerra civile, guerra fra le gang, guerra in Abkhazia. Viveva ancora a Tbilisi in quegli anni? ha vissuto le stesse esperienze delle quattro ragazze?

   Io sono fortunata, sono di dieci anni più giovane delle protagoniste del romanzo, sono stata protetta dalla mia età e dalla mia famiglia. Non ero molto consapevole di quello che succedeva, ma ricordo benissimo. I personaggi del libro sono fittizi, ma tutto il resto, le gang e le loro imprese, tutto quello che succede nel libro era vero. Io vedevo ma non ero in grado di analizzare quello che vedevo. E poi diventava qualcosa di normale, non c’era un punto di paragone.

Adesso sembra una follia, sono fatti di 25 anni fa ed è quasi impossibile spiegarlo ai ventenni di adesso. Si parla molto di quegli anni, tutti sanno dei terribili anni ‘90, tutte le famiglie sono state traumatizzate, hanno avuto un impatto su tutta la società. Ai giovani, però, sembra un film del Far West e perfino a me sembra impossibile che sia stato così.

Giardino Botanico di Bruxelles

Quale è stata la parte più dolorosa del romanzo da scrivere?

    Il suicidio di Dina. Non anticipo nulla perché si sa dalle prime pagine del libro, ma non si sa come e perché e, mentre leggi, vuoi saperlo. È stato doloroso scriverne. Quando, nel presente, le amiche ritrovate sono nel Giardino Botanico di Bruxelles, si scopre che Qeto aveva cancellato il ricordo della morte di Dina, il dolore aveva fatto sì che lei avesse rimosso quanto era accaduto. Ero depressa mentre ne scrivevo, non volevo lasciarla andare, ma i personaggi sviluppano la loro storia e il loro destino ed io devo seguirli. E poi mi è stato anche doloroso scrivere della scena dello zoo, il punto di svolta nella vita delle ragazze.

A proposito della scena dello zoo: non mi aspettavo di veder riapparire il personaggio del ragazzo con i capelli rossi…

   L’idea di far riapparire il Rosso è arrivata dopo, in effetti non pensavo ne avrei scritto ancora. Quando mi è venuto in mente, mi sembrava la maniera giusta di chiudere il cerchio.


                                           


giovedì 21 settembre 2023

Nino Haratischwili, “La luce che manca” ed. 2023

                                                  Voci da mondi diversi. Georgia


Nino Haratischwili, “La luce che manca”

Ed. Marsilio, trad. Fabio Cremonesi, pagg. 702, Euro 24,00

     Bruxelles 2019. Tre amiche si incontrano ad una mostra di fotografie, dopo una trentina d’anni in cui si erano perse di vista. Il pensiero corre alla quarta di loro che non è presente.

    Tbilisi, Georgia, il decennio degli anni ’90. Quattro bambine sono inseparabili compagne di scuola e di giochi, diventano grandi in quei terribili anni di sconvolgimenti dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica.

    Sono due, dunque, i tempi della narrazione- il breve tempo di un vernissage in cui, davanti alle fotografie della mostra, si srotola il tempo lungo dei ricordi. È come se ogni fotografia accendesse un flash su un momento del passato, i capitoli hanno il titolo della fotografia davanti a cui Qeto, da sola o con le amiche, si è fermata e il tempo ritorna indietro, a quell’attimo, a quello che era successo, a quello che sarebbe avvenuto dopo.


    Le fotografie che ritraggono loro quattro bambine sono in un tempo che ha ancora la magia dell’infanzia, sospeso tra gli ultimi mesi sotto il governo sovietico e l’indipendenza e i primi disordini. La scrittrice ne approfitta per introdurre le famiglie di Via delle Vigne, del caseggiato con il cortile dove accadranno tante cose, dove le bambine diventano adolescenti, ognuna con la sua personalità- Qeto, l’osservatrice che si autoinfliggerà delle ferite per sopportare il dolore che la circonda (bravissima nel disegno, diventerà restauratrice), Ira, la studiosa, infelice per un amore inaccettabile, andrà al college in America, diventerà avvocato e farà qualcosa che la bollerà come traditrice, la romantica Nene, schiacciata sotto il giogo dello zio e dei fratelli (boss della malavita, introdurranno l’eroina a Tbilisi), e Dina, la fotografa, la solare Dina, Dina la leader, quella che prenderà decisioni che cambieranno la vita di tutte loro.

    Se la fotografia che le riprende tutte e quattro mentre si tuffano, dall’alto di una roccia, è la più emblematica dell’ “età dell’innocenza”, quella che sembra simboleggiare il salto audace ed entusiasta in una nuova fase della vita, un’altra fotografia, intitolata “Lo zoo”, è quella che fissa sulla pellicola un momento di svolta, il giorno in cui Dina e Qeto hanno la rivelazione improvvisa della violenza, della crudeltà, della morte. Qeto ricorda- lei si sarebbe data alla fuga, Dina aveva sfoderato la sua tempra, il suo coraggio, il suo senso etico. E aveva preso una decisione che era l’unica che si potesse prendere. Una vita viene salvata, ma a che prezzo? Un prezzo che non sarà mai saldato, neppure negli anni a venire.


   E c’è un aumento progressivo di violenza intorno alle amiche- sembra che tutto il mondo sia in guerra, guerra civile tra sostenitori e oppositori del presidente, guerra tra le gang mafiose, guerra in Abkhazia (Dina partirà per fotografare la guerra in Abkhazia, dirà che preferisce correre il rischio di morire in guerra piuttosto che morire di dolore). In questa società dominata dagli uomini che dettano le regole dell’onore, è perfino difficile innamorarsi, è necessario nascondere gli incontri d’amore, le minacce di vendetta per i tradimenti sono terribili. Ma che cosa è la morale se tutto intorno a loro è immorale? “Questo orrore è la nostra vita. Non possiamo più permetterci di avere una morale”, dice una di loro.

   A trent’anni di distanza, davanti alle fotografie che le riportano indietro nel tempo, davanti a quegli scatti che solo loro sono capaci di interpretare appieno, mentre gli sguardi curiosi degli altri visitatori della mostra si appuntano su di loro, il senso di tutto quell’orrore ritorna nella sua crudità- “Ma voi come fate? Io non riesco a smettere di pensare alla morte, a tutto l’orrore che mi sono ritrovata davanti alla mostra”, dice Qeto, ma la dolce Nene ribatte, “C’era anche tanta bellezza, Qeto. Non puoi separare le due cose. Prima ancora di avere 25 anni avevamo visto e vissuto ben più di quanto la maggior parte delle persone vede e vive in tutta la vita. A volte sono quasi grata per quelle esperienze.”

Ponte della Pace, Tbilisi. Progettato da Michele De Lucchi

    È un libro bello, selvaggio e feroce, “La luce che manca”. Un libro di orrore e di dolore. È però anche un libro che esalta il valore e il conforto dell’amicizia, nonostante le difficoltà e le incomprensioni. È un libro di un decennio di Storia travagliata del paese che è noto per aver dato i natali a Stalin, e anche a Berija, gli esperti dell’orrore. E ‘la luce che manca’ è, prosaicamente, la luce che salta di continuo a Tbilisi (tutti hanno candele e torce di scorta), è la luce che manca nell’intero paese lasciando sprofondare la Georgia nel buio di anni luttuosi, è Dina stessa la luce che manca, ora che non illumina più, con la solarità del suo sorriso, il gruppo delle sue amiche.

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A breve seguirà intervista con la scrittrice.



martedì 19 settembre 2023

Lorena Salazar Masso, “Il canto del fiume” ed. 2023

                                                     Voci da mondi diversi. Colombia



Lorena Salazar Masso, “Il canto del fiume”

Ed. Sellerio, trad. Giulia Zavagna, pagg. 173, Euro 15,00

 

    Io e il bambino arriviamo al lungofiume di Quibdò. Cerchiamo una barca che ci porti fino a Bellavista.

   Il fiume è l’Atrato, Quibdò e Bellavista sono in Colombia. Il bambino è nero, la sua mamma (l’io narrante) è bianca. Lei non è la mamma biologica del bambino, pensando a Michela Murgia che è venuta a mancare in questi giorni, potremmo dire che il bambino è ‘un figlio dell’anima’. La madre non aveva i mezzi per mantenerlo e glielo aveva portato quando era piccolissimo. Come si diventa madre tutto d’un colpo, quando non si è portato un bimbo dentro di sé per nove mesi? Come si spiega al bambino che la pelle può avere tanti colori? Come gli si dice che un padre non è mai esistito? Il lungo viaggio sul fiume- lei non ha voluto scegliere il battello veloce che avrebbe impiegato sette ore- serve anche a questo, a ricordare, a raccontare i propri ricordi ad un’altra viaggiatrice, a farsi una ragione del fatto che la madre biologica vuole vedere suo figlio, che forse lei dovrà separarsene, che dovrà preparare il bambino a questo incontro.


    Il fiume è di per sé un potente simbolo di vita e qui è associato al ‘viaggio’, tema caro ai romanzi- viaggio che è scoperta di sé e degli altri, che è nuove conoscenze e nuove esperienze, che non lascia mai immutati. Quando si arriva alla meta di un viaggio, e più ancora quando si torna indietro, si è una persona diversa. Ma siamo in Colombia, questo non è un viaggio come il grand tour byroniano, neppure come un viaggio inter-rail dei nostri giorni, piuttosto come quello sul fiume in Africa su cui si avventura Marlowe in “Cuore di tenebra”. Inizia in maniera abbastanza spensierata, l’allegria del bambino è contagiosa. Poi il divertimento della novità finisce, succede qualcosa ad ogni tappa in cui il battello (guidato da una singolare figura di timoniera, quasi una dea del fiume senza la bellezza delle dee) si ferma. Un villaggio è stato distrutto da un incendio, una delle ragazze che era a bordo fa a tempo a sbarcare e morire di parto con il suo bambino…sono tutte disgrazie che preparano per l’arrivo a Bellavista, per il racconto- drammatico e tristissimo- della madre numero uno del bambino. La violenza domina a Bellavista, non è il posto migliore in cui far crescere un bambino.


    Non c’è un Re Salomone che decida per le due donne, la mamma numero due ha avuto il tempo del viaggio fluviale per pensare, per prepararsi a fare quello che è meglio per il bambino, per accettare quello che lui, il bambino, deciderà. Qualunque decisione venga presa, sarà una violenza su se stessi- quanto è difficile stabilire quale sia la vera madre, anche se, al di sopra di tutto, si stabilisce un legame di sorellanza tra le due donne, unite dall’amore per il piccolo.

    Non sono stati fatti i conti, però, con la violenza all’esterno che irrompe nella loro vita senza giustificazioni, come un atto di pura follia.

   Sapevamo fin dall’inizio che l’atmosfera quasi incantata del fiume era un inganno, che i colori e la musica dell’acqua e il piacere di quella navigazione nascondevano altro. E se il tema principale del libro è la maternità intrecciato a quello della differenza etnica, quando terminiamo la lettura abbiamo l’impressione che tutto questo amore, che la storia del bambino con due madri, del bambino doppiamente amato, sia finita con un doppio dolore, che niente può salvarci dalla furia della violenza, né l’innocenza, né la generosità, né l’amore.



sabato 16 settembre 2023

Nguyễn Phan Quế Mai, “Dove vola la polvere” ed. 2023

                                                            Voci da mondi diversi. Vietnam

   guerra del Vietnam

Nguyễn Phan Quế Mai, “Dove vola la polvere”

Ed. Nord, pagg. 416, Euro 19,00

 

      Vietnam. Un paese in cui, durante la lunga guerra terminata nel 1975, furono sganciati 14 milioni di tonnellate di bombe, tre volte quelle utilizzate dagli alleati durante la seconda guerra mondiale.

     Vietnam. Un paese in cui, senza alcuno scrupolo, furono usati defolianti- nome in codice Agente Arancio- per avvistare meglio il nemico distruggendo la vegetazione. La Croce Rossa stima che siano state 4 milioni le vittime che ne portano il segno anche a distanza di anni.

     Vietnam. Quanti i figli di soldati americani e ragazze vietnamite? Quanti furono riconosciuti dai padri e quanti furono invece abbandonati negli orfanotrofi, discriminati perché Amerasian?


   Ritorniamo in Vietnam con il nuovo romanzo di Nguyễn Phan Quế Mai, riviviamo con lei le sofferenze e gli orrori. Soltanto in apparenza “Dove vola la polvere” può sembrare meno doloroso di “Le montagne cantano” perché in realtà il passato è sempre presente, le ferite non sono ancora rimarginate, niente è stato dimenticato.

    Vietnam 2016.

   Un figlio cerca suo padre. Phong ha la pelle nera e i capelli crespi. È chiaro che suo padre deve essere stato un soldato americano di colore. E sua madre? Una che se la faceva con l’invasore.

   Un padre cerca suo figlio o sua figlia. È ritornato in Vietnam per sconfiggere gli incubi, non immaginava come si sarebbe trasformato il suo viaggio. Nel 1969 aveva vent’anni, una fidanzata a casa, un inaspettato amore vietnamita. Quando lei- Kim il suo nome per i clienti- gli aveva detto di essere incinta, lui non si era fatto più vedere.

    1969. Due sorelle partono per Saigon, lasciando i genitori e il villaggio fra i campi di riso. Sono ingenue, credono all’amica che fa balenare facili guadagni- dopo tutto si tratta solo di bere del Saigon Tea con i clienti. Diventeranno delle bar-girls. Si adatteranno, vogliono mandare soldi a casa, così che il padre possa essere curato e che i debiti contratti siano saldati.


    Quanta sofferenza in ogni storia. In quella di Phong, ora adulto, sposato e con due figli, che cerca di ottenere il visto per andare in America, sognando una vita migliore in cui né lui né i figli saranno guardati male per il colore della loro pelle. In quella di Dan che era pilota di elicottero e aveva il compito di raccogliere i compagni feriti o morti, che non avrebbe mai voluto uccidere nessuno, ma, se sei accanto a chi spara, non sei anche tu un assassino? In quella delle due sorelle che in breve tempo non sono più le ragazze timorose che avevano lasciato il villaggio e si allontanano una dall’altra. Una di loro, Kim, aveva creduto nell’amore e poi aveva visto il suo ragazzo biondo cambiare, chiudersi in sé, ubriacarsi, alzare le mani su di lei. Per lasciarla da sola ad affrontare la gravidanza.

    Le storie si alternano, il tempo della narrazione si sposta tra il passato e il presente, uno dei personaggi- l’americano che torna con la moglie ed è incapace di fare semplicemente il turista- è tormentato dai fantasmi di quel passato, dai sensi di colpa, dalla consapevolezza dell’ignoranza, sua e degli altri soldati americani, quando erano stati catapultati dentro una guerra che non capivano, dalla vergogna per aver creduto alla propaganda che faceva dei vietnamiti dei subumani per cui la vita aveva un minor valore.


E poi, intorno alle tragedie dell’uno e dell’altro, c’è la speculazione e lo sfruttamento da parte di chi cerca di trarre vantaggio dalla situazione- false madri che sperano di accompagnare un figlio alla ricerca del padre americano, falsi genitori adottivi che pensano di guadagnarsi un visto per l’America, soldi intascati per far ottenere un visto che non verrà concesso,

    C’è una grande comprensione per tutti i suoi personaggi da parte della scrittrice, per la vittima innocente della guerra, ‘il figlio della polvere’ che tutti possono calpestare e la cui madre tutti possono insultare, per le due ragazzine che la guerra ha trasformato in prostitute, e infine anche per l’americano, il nemico di un tempo, quello che rappresenta tutto il Male che c’è stato. C’è come un tentativo di aiutare le ferite a cicatrizzarsi, di godere della pace, di andare avanti.

     C’è la Storia in questo libro molto bello, da leggere.

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lunedì 11 settembre 2023

Alessia Gazzola, “Una piccola formalità” ed. 2023

                                                                  Casa Nostra. Qui Italia

           cento sfumature di giallo

Alessia Gazzola, “Una piccola formalità”

Ed. Longanesi, pagg. 304, Euro 16,90

 

   Vi presento Rachele Braganza, la sorella ‘di carta’ di Alice e di Costanza, le indimenticabili protagoniste della due precedenti serie di romanzi di Alessia Gazzola.

   Rachele non ha niente a che fare con l’anatomopatologia, scrive di lifestyle sulla rivista online Chic&Glam, nel corso della vicenda sarà promossa a caporedattrice, è informatissima su tutti i pettegolezzi, sulle mode, sui locali, su quello che è ‘in’ a Milano. Ha trentadue anni, lei e il suo compagno Alessio sono una di quelle rarissime coppiette che resistono insieme dai tempi del liceo, il loro è uno di quegli amori che scivolano indolori nell’amicizia.


   La trama scatta quando il padre di Rachele le dice di aver rinunciato all’eredità di suo fratello Max, morto di recente. L’eredità passa a lei, Rachele, perché Max non era sposato e non aveva figli, e tuttavia il padre la sollecita a rinunciare. Perché, poi? Il fatto che lui e il fratello avessero troncato ogni rapporto non è una giustificazione sufficiente. Quanti misteri in famiglia. Il padre di Rachele non apre bocca su questa estraniazione, dice solo che Max era un brutto soggetto, meglio non averci a che fare, deve aver lasciato un mucchio di debiti.

    Se dapprima Rachele pensa di obbedire al padre, poi ci ripensa- forse vale la pena di saperne di più, sia sullo zio che lei ha visto solo una volta, sia sull’entità del’eredità e dei possibili debiti. E contatta un compagno di liceo che è diventato un affermato notaio.

   Appena entra in scena Manfredi Malacarne, capiamo che diventerà un co-protagonista insieme a Rachele, che la trama si svolgerà (come è tipico dei romanzi di Alessia Gazzola) su un doppio binario, quello della love story e quello del mystery che, in questo caso, necessita del supporto legale.

l'eredità della Bentley

Manfredi è affascinante, lo è sempre stato, anche al liceo. Prestante e virile, Manfredi è l’antitesi di Alessio che ci riserba una sorpresa che non è neppur tanto inaspettata. Via libera per il corteggiamento di Manfredi e Rachele si scopre più disponibile di quanto pensasse. Flashback degli anni del liceo, le ore di fisica in cui Rachele aiutava Manfredi, il suo spasimare dietro Alessio che però sbirciava i ragazzi in palestra, la morte precoce dell’amica più cara di Rachele, si alternano al presente e alle storie di un altro passato che affiora e che non può più restare segreto, quello dello zio Max e dei genitori di Rachele.

   Il finale sembra occhieggiare alle commedie tradizionali, di figli perduti e ritrovati, di rapporti riallacciati, di silenzi infranti e colpe nascoste e svelate.

   Con la vivacità e il brio che le sono soliti Alessia Gazzola ci ha regalato un altro romanzo di intrattenimento divertente e intelligente, una piacevole lettura per questa fine estate.

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giovedì 7 settembre 2023

Georgette Heyer, “L’imprevedibile Venetia” ed. 2023

 

               Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda               

      love story


Georgette Heyer, “L’imprevedibile Venetia”

Ed. Astoria, trad. Lidia Zazo, Anna Luisa Zazo, pagg. 400, Euro 18,50

 

    Ecco un altro personaggio di cui ci innamoriamo, uscito dalla penna di Georgette Heyer, la scrittrice inglese nata nel 1902 e morta nel 1974 che pubblicò il suo primo romanzo a soli 19 anni, un libro scritto di getto, per divertire il fratellino convalescente. Scrisse e pubblicò moltissimo, per lo più romanzi ambientati nell’800, nel periodo georgiano e della Reggenza, ma anche romanzi polizieschi, racconti, saggi. Impossibile contarli. Di certo non saranno tutti dello stesso livello, però io ho trovato sempre molto gradevoli quelli che ho letto, intelligenti con quel filo di humour e ironia britannici, ben scritti, con trame che qualcosa salva dall’essere banali. A tratti ci sembra di leggere libri di una sorella minore di Jane Austen.

    Venetia Lanyon ha venticinque anni e ci tiene a sottolinearlo ogni qualvolta qualcuno cerca di limitare la sua libertà e mette in discussione la sua capacità di giudizio. Dopotutto Venetia dirige la proprietà di famiglia invece del fratello maggiore che ha scelto la carriera militare e pare non aver nessuna voglia di tornare a casa e assumersi le sue responsabilità. Anche se Venetia non sarà mai libera- oltre che della casa e dei terreni, è stata sempre lei ad occuparsi del fratello minore, un giovane dalla salute delicata, zoppo (per una congenita lussazione all’anca? I tempi non erano maturi per una diagnosi e una cura) ma intelligentissimo e sempre con la testa nei libri. È una zitella, Venetia? Nel piccolo mondo che la circonda- il romanzo è ambientato nello Yorkshire- di certo è avviata sulla via della zitellaggine e sappiamo da Jane Austen che cosa questo significhi. Con una differenza, però. Contrariamente alle sorelle Bennett, Venetia dispone di una rendita e pensa, quando tornerà il fratello maggiore, di cercare una casa in affitto per sé e il fratello minore, magari a Londra. Che scandalo! Una donna che va a vivere da sola! Impossibile, e sono molti a tentare di dissuaderla. E poi Venetia ha due corteggiatori, uno troppo giovane che lei cerca di scoraggiare in ogni maniera e uno troppo affidabile e noioso che si rifiuta di capire che Venetia non ha nessuna intenzione di accettare la sua proposta.


    E poi arriva sulla scena il proprietario della tenuta confinante, Lord Damerel. Non è una comparsa improvvisa, la scrittrice ci ha preparato con i pettegolezzi su di lui, con l’aura di libertino che lo accompagna, con le voci delle sue follie per le donnette di cui si è innamorato dopo il primo colpo di testa, quando era fuggito con una donna sposata.

Lord Damerel è il bel tenebroso, un po’ Rochester, un po’ Heathcliff, un po’ Wickham. Il suo primo approccio con Venetia, quando pensa che lei sia una contadinotta, è volgare e scioccante. E tuttavia è il Principe che risveglia la Bella Addormentata.


Da qui in poi tutto è prevedibile, eppure restiamo avvinti alla pagina perché ci piace questo personaggio femminile in anticipo sul suo tempo, bella ma non fatua, colta ma non saccente, onesta con se stessa e con gli altri, attaccata ai valori della famiglia (dice apertamente di non aver mai amato suo padre ma ha preso su di sé il ruolo della madre, morta- così si è sempre detto- dando alla luce l’ultimo figlio), capace di sfidare i pregiudizi che le impedirebbero di mostrarsi in giro accompagnata da persone di dubbia fama.

    Con un colpo di bacchetta magica l’ordine è ristabilito alla fine- e tutti vissero felici e contenti.

    Un libro perfetto per l’estate.