Voci da mondi diversi. Colombia
Lorena Salazar Masso, “Il canto del fiume”
Ed.
Sellerio, trad. Giulia Zavagna, pagg. 173, Euro 15,00
Io e
il bambino arriviamo al lungofiume di Quibdò. Cerchiamo una barca che ci porti
fino a Bellavista.
Il fiume è l’Atrato, Quibdò e Bellavista sono in Colombia. Il bambino è nero, la sua mamma (l’io narrante) è bianca. Lei non è la mamma biologica del bambino, pensando a Michela Murgia che è venuta a mancare in questi giorni, potremmo dire che il bambino è ‘un figlio dell’anima’. La madre non aveva i mezzi per mantenerlo e glielo aveva portato quando era piccolissimo. Come si diventa madre tutto d’un colpo, quando non si è portato un bimbo dentro di sé per nove mesi? Come si spiega al bambino che la pelle può avere tanti colori? Come gli si dice che un padre non è mai esistito? Il lungo viaggio sul fiume- lei non ha voluto scegliere il battello veloce che avrebbe impiegato sette ore- serve anche a questo, a ricordare, a raccontare i propri ricordi ad un’altra viaggiatrice, a farsi una ragione del fatto che la madre biologica vuole vedere suo figlio, che forse lei dovrà separarsene, che dovrà preparare il bambino a questo incontro.
Il fiume è di per sé un potente simbolo di vita e qui è associato al ‘viaggio’, tema caro ai romanzi- viaggio che è scoperta di sé e degli altri, che è nuove conoscenze e nuove esperienze, che non lascia mai immutati. Quando si arriva alla meta di un viaggio, e più ancora quando si torna indietro, si è una persona diversa. Ma siamo in Colombia, questo non è un viaggio come il grand tour byroniano, neppure come un viaggio inter-rail dei nostri giorni, piuttosto come quello sul fiume in Africa su cui si avventura Marlowe in “Cuore di tenebra”. Inizia in maniera abbastanza spensierata, l’allegria del bambino è contagiosa. Poi il divertimento della novità finisce, succede qualcosa ad ogni tappa in cui il battello (guidato da una singolare figura di timoniera, quasi una dea del fiume senza la bellezza delle dee) si ferma. Un villaggio è stato distrutto da un incendio, una delle ragazze che era a bordo fa a tempo a sbarcare e morire di parto con il suo bambino…sono tutte disgrazie che preparano per l’arrivo a Bellavista, per il racconto- drammatico e tristissimo- della madre numero uno del bambino. La violenza domina a Bellavista, non è il posto migliore in cui far crescere un bambino.
Non c’è un Re Salomone che decida per le
due donne, la mamma numero due ha avuto il tempo del viaggio fluviale per
pensare, per prepararsi a fare quello che è meglio per il bambino, per
accettare quello che lui, il bambino, deciderà. Qualunque decisione venga
presa, sarà una violenza su se stessi- quanto è difficile stabilire quale sia
la vera madre, anche se, al di sopra di tutto, si stabilisce un legame di
sorellanza tra le due donne, unite dall’amore per il piccolo.
Non sono stati fatti i conti, però, con la
violenza all’esterno che irrompe nella loro vita senza giustificazioni, come un
atto di pura follia.
Sapevamo fin dall’inizio che l’atmosfera
quasi incantata del fiume era un inganno, che i colori e la musica dell’acqua e
il piacere di quella navigazione nascondevano altro. E se il tema principale
del libro è la maternità intrecciato a quello della differenza etnica, quando
terminiamo la lettura abbiamo l’impressione che tutto questo amore, che la
storia del bambino con due madri, del bambino doppiamente amato, sia finita con
un doppio dolore, che niente può salvarci dalla furia della violenza, né
l’innocenza, né la generosità, né l’amore.
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