Voci da mondi diversi. Diaspora ebraica
Shoah
Michael Frank, “Cento volte sabato”
Ed.
Einaudi, trad. Marco Rossari, pagg. 256, Euro 19,50
Stella
Levi e la ricerca di un mondo perduto, recita il sottotitolo del libro di
Michael Frank. Quanti mondi sono andati persi, distrutti, trascinati nel
vortice di morte della seconda guerra mondiale. Abbiamo letto tanto di quella
yiddishland scomparsa nel cuore dell’Europa, non avevamo ancora sentito parlare
del mondo giudeo-spagnolo di Rodi a cui appartiene Stella Levi, così simile e
così diverso dagli shtetl della Polonia.
La narratrice è lei, Stella, nata a Rodi nel 1923, ma c’è un secondo narratore che raccoglie la sua storia ed è quel Michael Frank di cui abbiamo già letto il frizzante “I formidabili Frank”. Per cento sabati, nel tempo del riposo dello Shabbat, a quasi cento anni (il numero perfetto che si ripete due volte), Stella ha incontrato Michael Frank e ha ricostruito per lui- e per noi, e per se stessa- il mondo della Juderia in cui è nata e cresciuta. E il racconto si fa più vivace, Stella parla, ogni tanto Michael Frank interloquisce, fa domande, chiede spiegazioni, cerca di puntualizzare senza mai invadere l’intimità dei racconti di Stella, senza mai forzarla. Anche se mai Stella si lascerebbe forzare, perché da ogni sua parola avvertiamo la sua tempra, la sua indipendenza di spirito, quella energia vitale che le è servita per sopravvivere e per continuare a vivere, senza mai arrendersi, costruendosi una seconda vita.
Non è solo il fascino di un tempo lontano e
di uno stile di vita più ‘a misura di uomo’ che affiora dalla descrizione della
vita a Rodi. È anche l’incanto di un’isola fatta di sole e di luce e di
azzurrità in cui gente di religione diversa- greci ortodossi, cattolici,
minoranze turche musulmane ed ebrei- aveva convissuto pacificamente per secoli.
La famiglia di Stella era numerosa, sette tra fratelli e sorelle. Il maggiore
era già andato via da Rodi prima che nascessero le ultime due sorelle, Renée e
Stella. Stella racconta, della sorella intellettuale, di quella che preparava
il corredo, della raffinatezza di Renée che soffriva d’asma e veniva viziata,
della strana usanza della enserradura,
delle chiacchiere delle donne nel kortijo,
di quando lei, Stella, a quattordici anni aveva preparato la valigia per il
giorno in cui sarebbe andata a frequentare l’università in Italia.
Gli italiani erano arrivati nel 1923 a Rodi. Quando Michael Frank chiede a Stella quale sia la sua ‘lingua dominante’, lei non ha dubbi, ‘Fin dall’inizio ho adorato la lingua italiana’, perché assomigliava alla sua, perché studiava in quella lingua, perché le aveva aperto la mente e il cuore. Gli italiani portarono tante migliorie a Rodi, si fecero amare. Poi furono gli italiani che, nel 1943, stilarono l’elenco dei 1700 ebrei dell’isola che furono deportati dai nazisti.
Passano
molti sabati, sabati in cui Stella parla di feste, di cibo, di incontri, di
amicizie e di amori con dei giovani italiani, prima che arrivi a parlare delle
leggi razziali che le impedivano di frequentare la scuola, del professore che
organizzò delle lezioni per gli studenti ebrei (era innamorato di lei? più
tardi le dirà che il suo rifiuto di sposarlo era stato il suo più grande
dolore), e del fatidico 23 luglio 1944 quando l’intera comunità ebraica di Rodi
fu caricata su una nave. La macchina di sterminio tedesca continuava ad operare
in una maniera paradossalmente perfetta e assurda. Che cosa poteva essere più
assurdamente inutile di quel dispendio di forze e di mezzi per quello che fu il
viaggio di deportazione più lungo- da Rodi ad Atene e poi in treno risalire
l’Europa fino ad Auschwitz? Il novanta
per cento fu ucciso all’arrivo. Stella sopravvisse.
Tutti i fratelli e sorelle sopravvissero alla Shoah. Stella parla dei
campi, ma è come se volesse gettarsi alle spalle quel ricordo- sia lei sia la
sorella si fecero togliere il numero tatuato sul braccio, dopo, quando
arrivarono in America dove iniziarono un’altra vita.
La bellezza di questo libro è nella doppia voce, è nella maniera in cui questa donna eccezionale rivive il suo passato senza fare dell’indicibile esperienza dei campi il nodo focale del suo racconto. Le sue memorie puntano lì, certo, ma c’è anche tanto altro di cui parlare ed è quel tanto altro che forse spiega la sua resilienza- ci vuole intelligenza anche per vivere.
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