Casa Nostra. Qui Italia
Ed.
Sellerio, pagg. 195, Euro 14,00
Un matrimonio singolare, il ‘matrimonio
epistolare’ di Don Giuseppe Tomasi, principe di Lampedusa, e di Alexandra,
baronessa di von Wolff-Stomersee, che rispondeva al nomignolo di Licy. Verrebbe
da dire che gli opposti si attraggono. Lui solitario, ferocemente attaccato
alla sua terra, alla sua Palermo, alla casa avita, al sole del Sud. Lei una
principessa dei ghiacci, psicologa innamorata del suo lavoro (fu lei ad
introdurre Freud in Italia), attaccata altrettanto ferocemente alla sua propria
dimora avita, il castello di Stomersee in Lettonia, alle notti chiare del Nord.
Erano anche parenti acquisiti, Giuseppe e Licy, perché la madre di lei, la
cantante italiana Alice Barbi, aveva sposato in seconde nozze lo zio
diplomatico di Giuseppe. Si sposarono nel 1932, lei trentottenne e divorziata,
lui due anni di meno di lei, molto legato alla madre.
Per una decina d’anni Giuseppe e Licy vissero brevi periodi insieme e lunghi mesi lontani, ognuno a casa sua, con un fitto scambio epistolare che Caterina Cardona esamina in questo interessante libro ripubblicato da Sellerio dopo una prima edizione nel 1987. Singolari anche queste lettere, da cui balza fuori il carattere di ognuno, lasciandoci con tanti punti interrogativi.
Sono scritte in francese, prima di tutto (sono tradotte a pié pagina), lingua che entrambi conoscevano bene, quasi avessero bisogno di un terreno neutro su cui incontrarsi. E il tono delle lettere è diverso, pur descrivendo entrambi la loro vita quotidiana. Quella di lui, però, è la vita di un nobile palermitano per cui- diciamolo apertamente- qualunque occupazione è disdicevole (quanto ci ricorda il principe Fabrizio Salina, ispirato al suo bisnonno e protagonista di quel capolavoro che è “Il Gattopardo”). Quando Don Giuseppe si metterà a scrivere il suo unico romanzo, lo farà- come dice lui stesso- per non essere da meno dei cugini Piccolo, poeti, studiosi, artisti. E dobbiamo usare ancora una volta la parola ‘singolare’ pensando al destino che non permise a Tomasi di Lampedusa di vedere il romanzo pubblicato nel 1958 da Feltrinelli, dopo essere stato rifiutato da Mondadori e da Einaudi (che errore di giudizio, quello di Vittorini, che respinse anche “Il tamburo di latta” di Gunther Grass e “Il dottor Zivago” di Pasternak) e di godere del premio Strega che gli fu conferito nel 1959- Giuseppe Tomasi di Lampedusa era morto nel 1957 per un tumore ai polmoni.
La vita di Licy, nel castello di Stomersee,
è impegnata nel suo lavoro di psicanalista e descrive nei dettagli la cura di
una donna con pulsioni suicide/omicide- anche cinque o sei ore di colloqui
stressanti che la lasciavano prosciugata.Alexandra Wolff
La
voce di lui suona più infantile alle nostre orecchie, più forte e volitiva
quella di lei. Nessuno dei due rivela apertamente uno dei motivi di queste vite
lontane, vi accennano entrambi con discrezione, come per non offendere nessuno-
la presenza ingombrante della madre di Giuseppe e il suo attaccamento per lei.
Era impossibile per Licy accettare di vivere con la suocera. Parlano, invece,
con una vera passione, delle loro case, quasi esse fossero amanti da cui non
potevano separarsi. La guerra è più silenziosa nelle lettere di Licy, risuona
dei bombardamenti in quelle di Giuseppe che parla di vetri infranti e
impossibili da sostituire. Per entrambi la perdita della casa, requisita prima
dai nazisti e poi dall’Armata Rossa quella di Licy, distrutta dal tremendo
bombardamento del maggio 1943 quella di Giuseppe, fu pari a quella di una
persona amata, fu come perdere le proprie radici, come restare orfani.
Caterina Cardona fa un lavoro eccellente
unendo stralci delle lettere ad una narrativa che illustra il periodo o le
persone a cui le lettere si riferiscono, permettendoci di guardare da vicino-
senza mai violarne l’intimità- la vita di uno scrittore che, con un unico
romanzo, si è imposto come uno dei più grandi d’Italia e di Europa.
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