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Leonardo Gori, “La libraia di Stalino”
Ed.
Tea, pagg. 256, Euro 16,00
Prepariamoci ad un salto indietro nel
tempo, in questo nuovo romanzo di Leonardo Gori che ha il capitano Bruno
Arcieri come protagonista. Lo abbiamo visto attraversare “La lunga notte”
dell’8 settembre 1943, così drammatica per tutti gli italiani, quella che
trasformerà in nemici i nostri alleati di prima, e lo troviamo ora in missione
sul fronte russo, nel dicembre del 1941. Non è il tempo breve del crollo di
ogni illusione, ma una manciata di giorni che servono per aprire gli occhi ad
Arcieri, per confermargli sospetti vaghi, per aggiungere una dimensione di
indicibile orrore a quello ordinario della guerra.
Stalino, la città dai molti nomi in Ucraina. Si chiamava Aleksandrovka, poi Yuzivka, poi Stalin, Stalino, oggi Donetsk- una delle tante città dell’Unione Sovietica a cui era stato dato il nome del ‘piccolo padre’, niente a che vedere, dunque, con Stalingrado, teatro della tremenda battaglia dal luglio del 1942 al marzo 1943. Nel dicembre del 1941, quando il capitano Arcieri arriva a Stalino, ufficialmente per un’indagine sulla scomparsa di materiale medico e in realtà per scovare una spia inglese di cui sono stati intercettati dei messaggi, i tedeschi spadroneggiano ancora, si comportano con la solita arroganza nei confronti degli alleati italiani e con la solita fredda crudeltà nei confronti dei nemici. Eppure si avverte qualcosa nell’aria, è come se ci fosse un nemico invisibile- da quegli uomini armati biancovestiti che sembrano uscire dal nulla alle audaci donne pilota che scendono con i loro aerei a bassissima quota, alle temperature rigide a cui né gli italiani né i tedeschi sono abituati (il Generale Inverno non aveva forse già sconfitto Napoleone?)- che riuscirà prima o poi ad avere il sopravvento.
Il gelo, prima di tutto. È il gelo che Bruno Arcieri deve affrontare, e gli capita spesso di ringraziare mentalmente il soldato che gli ha dato una sciarpa di lana da mettersi in testa. Il gelo che impedisce di seppellire i cadaveri perché è impossibile scavare il terreno. L’ospedale militare, poi, dove i medici italiani curano soldati e civili senza distinzione- odore di marcio, di cancrena, di sangue, di morte. Certo che, quando si può, si ruba il materiale sanitario. Soprattutto si ruba ai tedeschi che hanno medicinali di cui gli italiani sono sprovvisti. E nessuno si sente in colpa- lo schermo dietro cui si ripara Arcieri non convince nessuno. Ci sono altre irregolarità, nella postazione di Stalino. Ci sono delle donne che rallegrano l’atmosfera. Due di loro moriranno- come? perché? la coincidenza che muoiano poco dopo l’arrivo di Bruno è strana. C’è poi la figura singolare della libraia del titolo, figlia di un italiano di Crimea che aveva una libreria a Stalino- il tetto della libreria non c’è più e lei, Irina, cerca di mettere in salvo i libri portandoli al medico che dirige l’ospedale.
Il capitano Arcieri è venuto a Stalino per
stanare una spia che- così diceva nel messaggio cifrato- aveva importanti
rivelazioni da fare. Quello che scopre va al di là di qualunque possibile
immaginazione, la guerra è una cosa, questo è altro. La guerra rispetta certi
codici d’onore, in quell’album di fotografie che gli viene dato in consegna non
esiste alcun senso etico, né onore o umanità. È caduta la barriera che separa
il Bene dal Male ed esiste solo il Male, quello assoluto. E Bruno Arcieri è
sconvolto. Può soltanto combattere da singolo contro questo Male, può solo fare
la sua parte contravvenendo agli ordini, perché lui ha una coscienza.
“La libraia di Stalino” è forse uno dei più
belli, tra i romanzi della serie- per l’accurata ambientazione, frutto di
approfondita ricerca, per la varietà dei dilemmi psicologici ed etici vissuti
in prima persona dai diversi personaggi, per quel continuo contrasto tra la
realtà della guerra che sta vivendo Bruno Arcieri e il ricordo della dolcezza
di Firenze dove la distruzione non è ancora arrivata, per la drammaticità del
momento storico che per certi versi avvertiamo ormai lontano e per altri ancora
così vicino. Perché la Storia- come diceva Vico- è una serie di corsi e
ricorsi.
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