vento del Nord
cento sfumature di giallo
Håkan Nesser, “Barbarotti e l’autista malinconico”
Ed. Guanda, trad. Carmen Giorgetti
Cima, pagg. 400, Euro 19,00
2012. Una sorta di diario intitolato Spruzzi e brandelli che leggeremo a intervalli. Inizia con una frase che contiene il dolore di una colpa: Non è giusto che io viva. Sono in molti a pensarlo, e li capisco. La persona che scrive- sapremo che si chiama Albin Runge- dice di farlo perché resti una spiegazione. Studioso di storia delle idee, dopo aver perso il finanziamento per la ricerca aveva trovato lavoro come autista di pullman. Il 22 marzo 2007 l’incidente che aveva causato la morte di diciassette ragazzi e un adulto. E in un altro modo era morto anche lui. Come si sopravvive con un fardello di colpa così pesante? Era stato assolto, non avrebbe potuto evitare l’incidente, ma i fantasmi erano lì.
Nel
2012, cinque anni dopo l’incidente, aveva iniziato a ricevere lettere
brevissime firmate ‘Nemesi’ e contenenti oscure minacce di morte. Poi un paio
di telefonate. Albin Runge, negli anni trascorsi, si era separato dalla prima
moglie e si era risposato con una donna conosciuta in banca- non voleva
coinvolgerla, a lei aveva letto solo le prime due lettere e non le aveva detto
nulla delle telefonate ricevute in seguito. Va, però, a denunciare il caso alla
polizia- se ne occuperanno Eva Backman e Gunnar Barbarotti.
2018, fine agosto, il periodo preferito per
gli incendi di automobili. Nel tentativo di fermare un ennesimo incendio che
causerebbe la morte della coppietta che si trova nell’auto, Eva Backman spara
mirando alle gambe dell’ombra scura che ha in mano una tanica di benzina, ma…
Per riprendersi dal trauma, Eva Backman e Barbarotti (ormai sono una coppia, dopo che Barbarotti è rimasto vedovo) vanno a passare un mese di tranquillità lontano dal mondo, nell’isola di Gotland, amata dal regista Bergman. E vedono un uomo che, pur con barba e capelli lunghi che lo rendono diverso, assomiglia ad Albin Runge. Che è morto nel 2012. O almeno, è stato dichiarato morto anche se il suo corpo non era mai riaffiorato- secondo quanto detto dalla seconda moglie, doveva essere stato gettato in mare dal traghetto su cui viaggiavano.
Il nuovo romanzo di Hakan Nesser è più un
mystery che un thriller. E’ giocato sulla curiosità di scoprire che cosa sia
accaduto al povero Albin Runge e sulla simpatia che suscita in noi la coppia
Backman-Barbarotti piuttosto che su una tensione narrativa. E, tutto sommato,
Albin Runge si rivela un ingenuo, o forse è la sua fragilità a renderlo tale-
perché è lui ad essere fragile e non la moglie che lui dice di voler
proteggere. Di lui, più che lo sviluppo della vicenda che lo riguarda, che un
suo ex professore aiuta a chiarire e che ci pare una concessione ai nostri
tempi, ci interessa il problema etico che lo attanaglia, quel senso di colpa
che nessuna assoluzione di un giudice può attenuare. E allora comprendiamo
benissimo il perché della mini-trama del 2018 sui ragazzi piromani. Oltre a
segnalare un certo tipo di vandalismo criminale nella algida Svezia, amplia la
riflessione sulla colpa- anche in questo caso, come per Albin Runge, si è
trattato di un incidente: un morto ora, diciotto morti allora, ha importanza il
numero?-, sull’espiazione, sul convivere con un ricordo che fa sanguinare il
cuore.
E poi sono il personaggio di Barbarotti, con
il suo umorismo che ha una punta di allegria, i suoi colloqui con Dio (sono i
suoi ascendenti italiani che lo influenzano a rivolgersi all’aldilà?), la sua moderazione
e il suo equilibrio, insieme allo stile vivace di Nesser a rendere il romanzo
una piacevolissima lettura.
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