martedì 27 febbraio 2018

Mircea Cărtărescu, “Nostalgia” ed. 2006

                                                         Voci da mondi diversi. Europa dell'Est
     

Mircea Cărtărescu, “Nostalgia”
Ed. Voland, trad. Bruno Mazzoni, pagg.327, Euro 16,50

     Da dove iniziare a parlare del romanzo “Nostalgia” dello scrittore rumeno Cărtărescu? Non dalla trama perché non esiste una trama sequenziale, non dal protagonista perché sarebbe difficile individuarlo in un romanzo che è un trittico tenuto insieme dal filo della “nostalgia”. Forse è meglio lasciarsi trascinare dai nostri ricordi del libro, allacciati ai ricordi che sono il tessuto stesso di questo romanzo singolare, ricco di echi letterari (Cortázar e García Márquez che non per niente sono tra le letture di uno dei personaggi, ma anche Kafka nella voce narrante dello scarafaggio dell’ultima parte, o il Whitman che ama catalogare elenchi di visioni descrittive), di rimandi filosofici al Simposio di Platone o di richiami alla psicanalisi.
      “Nostalgia” è rimpianto per qualcosa che non c’è più, il passato in questo caso, i giochi dell’infanzia, quelli che servono per esplorare se stessi e gli altri e il mondo. Ci sono delle coppie  in ognuna delle tre parti del libro, fissate come con un lampo al magnesio sempre nelle pagine finali: un bambino e una bambina, nudi, che si guardano, mentre i compagni irrompono sulla scena, arrivandovi da cunicoli e buie gallerie; un ragazzo e una ragazza che fanno l’amore in una stanza in cui sono giunti percorrendo le sale e i corridoi di un museo, e ognuno dei due si trasforma nell’altro; un’altra coppia, infine, che si separa dopo che lei ha continuato a raccontare per tutta la notte.
E’ una sessualità labile, quella che traluce nelle pagine del romanzo di Cărtărescu, intercambiabile (si intitola “Gemelli” la seconda parte, in cui il personaggio si suicida dopo aver indossato gli abiti della sorella), non facilmente delimitata o esclusiva. Ed è il sogno che predomina in tutto il romanzo, sogno come rivelazione dell’inconscio, come metodo di conoscenza alla pari del gioco che è patrimonio dell’infanzia e che si serve delle stesse capacità di impossibile inventiva del sogno. Se “siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni”  e se “la vita è sogno”, è impossibile districare (e perché dovremmo?) quello che è sogno da quello che è la realtà dei più, e allora, dai giochi senza confini dei bambini nella prima parte si passa all’amore follia dei “Gemelli” con le scene fantasmagoriche, rutilanti e splendidamente orrende dei reperti del museo che si risvegliano dal sonno di millenni e prendono ad inseguire gli amanti, e infine all’esaltazione del sogno in “REM”, nel racconto di Svetlana che unisce gioco e sogno, con lei stessa bambina che gioca con le amiche ad essere, ognuna di loro, regina per un giorno, e tutto diventa fantastico, cambia di dimensione, in un succedersi a ritmo folle di visioni selvaggiamente oniriche. E la città stessa che fa da sfondo, Bucarest, ha il profilo del sogno, si sviluppa in profondità, in quei tunnel sotterranei che trasudano paure nascoste.

     Si chiude in un circolo il romanzo di Cărtărescu, con il personaggio che incontra lo scrittore che sta scrivendo la sua storia, con la negazione di un “no” ripetuto per una pagina intera (e non possiamo non ricordare il “sì” che termina l’”Ulisse” di Joyce). E la nostra sensazione è che- come dice uno dei personaggi- quanto più è ridotto lo spazio dell’azione, tanto più ampio è il resto del mondo. Che vale la pena di contrarsi per poter accrescere la meraviglia del mondo. Che la lettura di un romanzo come questo tiri fuori dal letargo indotto da quella dei cosiddetti best-seller, ampliando i nostri orizzonti.

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net





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