vento del Nord
storia di famiglia
Siri Ranva Hjelm
Jacobsen, “Isola”
Ed. Iperborea, trad. Maria
Valeria D’Avino, pagg. 217, Euro 17,00
Il fascino dell’isola. L’attrattiva di
essere tra mare e cielo, via dalla pazza folla. Il senso di familiarità in un
luogo dove conosci tutti e tutti ti conoscono.
L’incubo dell’isola. La claustrofobia che
prende per trovarsi stretto tra confini ben precisi. La limitatezza che si vede
in un orizzonte che pare infinito. La sensazione di essere in prigione.
Il desiderio di andare lontano e la nostalgia
dell’isola: è tra questi due poli che oscilla il libro “Isola” di Siri Ranva
Hjelm Jacobsen, nata in Danimarca da genitori provenienti dalle isole Faroe,
una storia di famiglia e la storia di un minuscolo arcipelago nell’Atlantico
del Nord i cui abitanti sono divisi tra rivendicazioni di una propria identità
e un’antica sudditanza alla Danimarca.
L’io narrante è quello della scrittrice
stessa e il primo personaggio della sua famiglia a cui ci introduce è quello
della nonna Marita, in partenza da Suðuroy (la più meridionale delle isole
Faroe) per raggiungere il fidanzato Fritz in Danimarca. Raramente, più avanti,
Marita sarà chiamata con il suo nome- lei sarà Ommi, la nonna, e Fritz sarà
Abbi, il nonno. La Tarantola è il padre della scrittrice, ‘l’estraneo’ dalle
gambe lunghe che gli hanno meritato questo soprannome. Ci sono poi gli zii,
fratelli di Abbi, una prozia, cugini di cugini. Nei luoghi piccoli come le
isole tutti sono imparentati con tutti e i rapporti famigliari sono più stretti
che in Danimarca- anzi, che povertà di affetti, che solitudine, in paragone,
c’è in Danimarca!
Marita parte, dunque. Quello che sappiamo subito
è che è incinta, che ha fatto qualcosa per abortire e che un fagotto con un
feto e stracci insanguinati verrà gettato in mare, prima di arrivare in
Danimarca. Leggeremo dopo di Fritz che, emozionato, la aspetta, e di chi sia
figlio il bambino che non ha fatto a tempo a diventare un bambino. Così come
leggeremo, avanti e indietro nel tempo, di Fritz che faceva il pescatore e che
non sopportava più la puzza di merluzzo e aveva deciso che voleva studiare,
degli altri fratelli e della sorte dell’uno e dell’altro, quello che era
partito per la guerra e per un anno non aveva dato notizie e quello che aveva
perso una gamba. E lei, la scrittrice bambina che si vergogna di non saper
parlare faroese e che osserva che la sua
Ommi lavora perfino a maglia in due modi, adattandosi a dove si trovi, muovendo
i ferri come lo fanno le donne delle isole Faroe oppure alla maniera danese. Sa
che Abbi ha sempre avuto nostalgia delle isole e, finché non è morta la Nonna,
era solito dire, “Se non fosse stato per la tua Omma”, e voleva dire, ‘sarei
tornato’. Perché per tutti loro, perfino per lei bambina, ‘casa’ era là nelle
isole, dove si andava d’estate, dove le notti erano chiare, dove l’erba
scintillava di più e l’aria era tersa, dove la gente beveva l’acqua di vita e
le huldre uscivano dalla foresta per
ammaliare i giovani che stavano per sposarsi. A casa la magia entrava nella
vita quotidiana, come le leggende- quella della moglie gelosa di Re Cane-, come
la storia tramandata a voce dei faroesi che sconfissero un esercito scozzese
(il ritornello della canzone che ne cantava le gesta faceva, Ben prima dell’alba, vengono dalla brughiera),
come la diceria sulle isole galleggianti- Mykines era un’isola galleggiante,
diceva Abbi. Diceva che non era fissata al fondo ma che dormiva o faceva finta.
Omma, la madre della scrittrice e la
scrittrice stessa: tre generazioni e, come Siri Jacobsen dice, la migrazione si
compie in tre generazioni- la prima ‘avverte il bisogno e porta in sé la
volontà’, la seconda si sente sbagliata ma mantiene la spinta ‘a guadagnarsi
l’inclusione’, la terza, infine, ha radici che ‘trepidano e frugano’, si porta
dentro il viaggio come una perdita. E, tra le tante isole citate, è Itaca
quella il cui nome appare più spesso. Itaca è l’isola desiderata e rimpianta,
l’isola da cui si fuggiti in cerca di avventura e l’isola a cui si torna perché
lì ci sono gli affetti, lì c’è il cuore.
Con un linguaggio terso e poetico, Siri
Jacobsen ci parla di problemi molto attuali e universali come l’emigrazione, lo
smarrimento della perdita di identità e la sofferta ricerca delle proprie
radici. E l’isola, allora, diventa, un luogo dell’anima, l’isola galleggiante
che può essere qui, là, ovunque.
la recensione sarà pubblicata su www.stradanove.net
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