il libro ritrovato
La maschera di un altro
John Banville, “L’invenzione del passato”
Si chiamava Alex, l’attore che è
il personaggio principale di “Eclisse”, il precedente romanzo dello scrittore
irlandese John Banville. Si chiama Axel (una sorta di anagramma di Alex) il protagonista
de “L’invenzione del passato”, ma non è questo l’unico legame con “Eclisse”:
entrambi i romanzi terminano con la morte di Cass Cleave, figlia di Alex e
amante di Axel, e con l’eclisse solare. Se poi aggiungiamo che l’anziano e
famoso scrittore Axel Vander ha assunto un nome e un’identità che non sono le
sue, portando per tutta la vita una maschera, proprio come fa un attore che
finisce per dimenticare chi sia veramente, è chiaro che i romanzi di Banville
sono romanzi a incastro, anche se possono essere letti separatamente. Non è un
personaggio simpatico, Axel Vander, ha sempre un tono di superiorità sprezzante
ed arrogante, beffardo e irrisorio. Cieco da un occhio, con una gamba invalida,
si paragona ad Arlecchino con il bastone e il cappello al posto della mazza e
della maschera, e di se stesso dice, per giustificare le sue stravaganze, “Non
sono pazzo, sono solo molto, molto vecchio”. Quando riceve per posta il
messaggio di Cass Cleave che sembra volerlo ricattare perché ha scoperto che
non è chi si spaccia di essere, Axel le dà appuntamento a Torino, dove deve recarsi
per un convegno. In realtà, poi, Cass Cleave gli farà avere solo dopo che è
morta l’esigua prova che ha raccolto, due fotografie ingiallite, quando ormai
Axel è più che mai vecchio e intristito perché si era innamorato di lei e si
sentiva persino fiero di avere un figlio da lei, lui che non ne aveva mai
avuto.
Torino come luogo ideale per rievocare il passato, con i suoi portici
ombrosi, Torino come un ampio e grandioso cimitero per una storia che si è
svolta in Olanda durante il nazismo, quando il protagonista invidiava al vero
Axel Vander la sua famiglia ricca, colta e divertente, che non accendeva le
candele al venerdì sera e si faceva beffe degli ebrei. Gli sembrava un
privilegio, poter essere amico di Axel, anche quando questo aveva pubblicato
degli articoli antisemiti. Poi Axel era morto in circostanze non chiare, lui si
era salvato anche se non sapeva grazie a chi, proprio mentre la sua famiglia
veniva “portata a est”. Neppure lui sa di preciso in quale momento dell’ esilio
sia diventato Axel Vander e se, diventando Axel, non volesse soprattutto non
essere se stesso. E’ il filo conduttore di tutto il romanzo, questa elusiva
ricerca dell’identità che ben viene rappresentata dai dubbi che circondano la
Sindone conservata appunto a Torino (“Shroud”, il titolo originale, “sudario”)
e che nessuno dei personaggi riesce a vedere, perché è cambiato il luogo
dell’esposizione, perché la biglietteria chiude quando arrivano in cima alla
coda. Sfuggente anche l’identità della ragazza, chiamata sempre con i due nomi
che, pur nell’etimologia diversa, suggeriscono l’idea di una rottura: Cass
Cleave è affetta da una sindrome rara, con attacchi di tipo epilettico, accessi
di paranoia che sfiorano la schizofrenia, e c’è qualcosa di incestuoso nella
sua ricerca dell’identità paterna nell’anziano Axel. Cass Cleave che sogna una
bambola senza faccia e studia la commedia dell’arte e le figure delle maschere
Colombina e Arlecchino, si getterà nel mare in cui è annegato il poeta Shelley
su cui Axel aveva scritto un noto saggio, “Shelley smascherato”.
Ma quale
maschera ha poi indossato Axel per tutta la vita se, come gli rivela alla fine
un sopravvissuto ai campi, anche Axel era ebreo?
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