Voci da mondi diversi. Nuova Zelanda
seconda guerra mondiale
Catherine Chidgey, “Vicinanza distante”
Ed.
e/O, trad. Silvia Castoldi, pagg. 586, Euro 18,52
Dalle lettere
del dottor Lenard Weber alla figlia Lotte. Francoforte 1946.
Dal diario
immaginario di Frau Greta Hahn. Febbraio 1943 e anni a seguire. Buchenwald.
Dalle
riflessioni intime di mille cittadini di Weimar (8 Km. distante da Buchenwald).
Da un’intervista con l’ex Sturmbannführer
delle SS Dietrich Hahn (funzionario amministrativo del campo di concentramento).
1954.
Sono questi i quattro filoni, le quattro testimonianze che si alternano nel romanzo “Vicinanza distante” della scrittrice neozelandese Catherine Chidgey. Un romanzo per molti versi stupefacente, soprattutto per la capacità della scrittrice di parlarci dell’orrore dei campi di concentramento in maniera nuova, quando pensavamo- a quasi ottanta anni di distanza- che tutto fosse già stato detto e in ogni modo possibile. Perché tutto si svolge fuori del campo, in questo ossimoro di ‘vicinanza distante’ che concede ai personaggi di sapere facendo finta di non sapere, di far entrare quei ‘servi’ nelle loro vite chiudendo il cuore alla compassione, di godere di lussi in stridente contrasto con le privazioni dei prigionieri, di lottare per mesi contro la morte (Frau Hahn pensava si trattasse di una cisti e invece era ben altro) quando al di là delle recinzioni si moriva ogni giorno di malattie, di fame, come conseguenza di esperimenti medici, di lavoro forzato, di torture e atti di violenza: 56.000 il numero totale delle vittime alla fine della guerra.
Buchenwald, un nome così bello (il bosco di
faggi) per un luogo che è diventato sinonimo di disumanità e di morte e chissà
che direbbe Goethe che amava sedersi sotto la grande quercia che è rimasta
all’interno del campo (ha un significato che bruci dopo il bombardamento?). A
otto kilometri da Weimar- i capitoli con le riflessioni dei mille cittadini di
Weimar sono lo specchio dell’indifferenza di chi assiste e gira la testa. Anzi,
si lamenta del puzzo che arriva dal campo, del cibo di cui non possono godere
perché viene dato ai prigionieri. Il loro è un orrendo coro che non cessa
neppure quando, dopo l’apertura del campo, vengono obbligati dagli americani ad
entrarvi per un tour, continuando a negare.
Il dottor Weber aveva dovuto divorziare dalla moglie ebrea e poi era stato deportato per aver avuto un nonno ebreo. Da giovane avrebbe voluto salvare il mondo, aveva inventato una macchina, il Vitalizzatore Simpatetico, che avrebbe dovuto curare il cancro con stimoli elettrici. In realtà non aveva funzionato, ma lo Sturmbannführer Hahn ne ha sentito parlare, fa venire Weber a casa sua, vuole che cerchi di curare la moglie Greta. Quello che Weber chiede in cambio sono notizie della moglie e della figlia- sono a Theresienstadt, stanno bene, gli dice Hahn.
Greta Hahn è molto più giovane del marito,
non era mai stata ammalata a Monaco, dove aveva sempre vissuto, ed ora si
chiede se la sua malattia sia una punizione. È
un piccolo personaggio commovente e patetico, Greta Hahn. Piccolo in
senso letterale, perché la malattia la consuma. Eppure Greta è l’unica che
tratta con garbo il servo Josef (un testimone di Geova), quasi fosse un
domestico normale, anche se si accontenta delle risposte del marito quando gli
fa domande sul campo e su chi ci sia rinchiuso. Greta finge di aver fiducia nel
dottor Weber anche quando sa che non le resta molto da vivere, perché ha capito
che continuare a farlo venire è l’unica maniera per salvarlo. Prima di morire
Greta traccia nella Bibbia un messaggio che è un regalo per il dottore (lo capirà solo parecchio tempo
dopo) e poi, quando il suo cuore smette di battere, è come se un angelo volasse
sul campo aggrappato alle ali del falco pellegrino che nel suo delirio da laudano
identificava con san Pellegrino, protettore degli ammalati di cancro, sognando
di andare sulla sua tomba a Forlì.Otto Barnewald
Nella nota finale l’autrice specifica
quali dei personaggi del libro siano reali. Alcuni appaiono con i loro nomi
(c’è anche la Principessa Mafalda di Savoia), Dietrich Hahn è invece ispirato a
Otto Barnewald che ricoprì a Buchenwald la posizione di Dietrich Hahn nel
romanzo. Hahn insiste goffamente a giustificare tutto quello che ha fatto, sostenendo
la sua preoccupazione per il benessere dei prigionieri- di tutto quello che
accadeva non sapeva nulla. Barnewald fu condannato a morte nel processo di
Dachau del 1947, ma in seguito la pena fu ridotta e venne rilasciato dal
carcere nel 1954.
Sono
quattro punti di vista diversi su cui riflettere- qual è il limite della colpa?
Qual è il peso di una traccia di bontà e di amore a confronto di quello della
malvagità o dell’indifferenza?
Nessun commento:
Posta un commento